Roberto Andò, un mago tra Macbeth e il cinema

Non è necessario, come accade con tanti suoi colleghi, strappargli le parole di bocca perché Roberto Andò è un signore gentilissimo che conosce l’arte sempre più rara dell’eloquio garbato, della confidenza in sordina. Vederlo e sentirlo parlare è una gioia che autorizza il piacere della conversazione. Tanto da causare qualche problema a chi lo intervista: cosa privilegiare del suo fluente discorso d’immagini? Lui che ha cominciato la sua carriera di regista teatrale con quella bellissima Foresta - Radice - Labirinto scritta da Calvino con scene di Guttuso e la sua irresistibile ascesa di cineasta con un film come Il manoscritto del principe? Comincio a provocarlo chiedendogli come mai, lui che ci ha mostrato nel suo primo film un ritratto inedito di Tomasi di Lampedusa, si è ora convertito alla prosa bruciante di Yasmina Réza, l’autrice di cui sta per mettere in scena quel Dio della carneficina che ha suscitato gli entusiasmi della critica francese. «Innanzi tutto perché è una pièce che parte dalla realtà spicciola, addirittura dalla banalità, per aprirsi su problemi esistenziali tragici - confida Andò -; dal momento che le due coppie, Silvio Orlando e Anna Bonaiuto da un lato, Alessio Boni e Michela Cescon dall’altro, che s’incontrano per tacitare una lite tra i loro bimbi dapprima si abbandonano al pianto, poi recuperano il riso, sembrano sfociare nell’amicizia e alla fine deflagrano nella più insulsa e spaventosa di tutte le guerre».
Così dice prima di sprofondare un attimo nel silenzio per rivelarmi che il suo prossimo impegno, la messinscena della prima versione del Macbeth verdiano al Maggio fiorentino «ricorderà da vicino i dubbi, i trasalimenti, le angosce che ossessionavano Daniel Auteuil. Il protagonista del mio film numero due, quel Sotto falso nome dove la personalità dell’eroe svaniva sotto i falsi nomi e cognomi da lui assunti in vita». Vuol dire che persino Macbeth, il sanguinario per eccellenza, potrebbe non essere colpevole della propria efferatezza?, domando sicuro di averlo preso in castagna. Ma ho fatto i conti senza l’oste, perché Andò subito mi interrompe: «Ha mai pensato alla profonda affinità che lega un uomo di oggi, che si nasconde sotto falso nome fino a smarrire la propria identità, a un nobiluomo di ieri che, ricattato dal demone del potere, da Verdi raffigurato nelle tre streghe, si lascia man mano trascinare nel delitto?». Confesso che non ci avevo pensato, gli rispondo. Ed è allora che, del tutto inattesa, mi giunge la sua franca risata. «Nel film che sto preparando farò molto ma molto di più. Voglio tornare, infatti, ad occuparmi del mistero di cui si circondò tutta la vita un altro scrittore.

Ha presente il caso di Romain Gary che si rifugiò sotto una serie di pseudonimi giungendo persino a dubitare del suicidio di sua moglie, la Jean Seberg di Fino all’ultimo respiro?
Vuol dire che tornerà sui suoi passi, ovvero a Tomasi di Lampedusa?, mi sfugge. Ma lui ironico commenta: «Forse il film, che girerò a settembre prodotto da Giuseppe Tornatore, si intitolerà Top secret ovvero il Segreto di un segreto. Tanto che io per primo non ne saprò un bel niente».

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