Roma - Chiesa gremita per i funerali di Stato del primo caporal maggiore Roberto Marchini, deceduto martedì scorso nell’esplosione di un ordigno in Afghanistan. Tra i banchi della basilica romana di Santa Maria degli Angeli, anche i presidenti di Camera e Senato, il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.
Mons. Pelvi: "Seminava amore" La funzione è stata celebrata da Monsignor Vincenzo Pelvi, ordinario militare, che lo ha ricordato "con il sorriso e la simpatia di amico e fratello". Roberto, ha detto mons. Pelvi, "desiderava seminare nel mondo un pò più di amore, prendeva perciò sempre posizione a favore di chi era oppresso, costretto a vivere nell’ingiustizia". L’arcivescovo ha ricordato poi che Marchini "aveva scelto la professione militare per dedicarsi ai più deboli, a coloro che non hanno nessun valore agli occhi del mondo, coloro che non valgono niente, che non sono niente o, molto semplicemente, coloro che agli occhi degli altri non esistono più".
Stamattina la salma in Italia Il corpo di Marchini è rientrato questa mattina in Italia, atterrando all'aeroporto di Ciampino. Oltre al papà Francesco, alla mamma Pina e alla sorella, Elisa, ad accogliere la salma del geniere-paracadutista dell’VIII Reggimento genio guastatori di Legnago, c'erano anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, il presidente della Corte Costituzionale Alfonso Quaranta. Per le forze armate, tra gli altri, il capo di stato maggiore della Difesa Biagio Abrate e il capo di stato maggiore dell’Esercito, generale di corpo d’armata Giuseppe Valotto.
"Sempre pronto al lavoro" "Roberto era un professionista preparato serio e disciplinato, e anche un amico. Con lui siamo stati in missione in Libano e in Afghanistan". Così lo ricorda il primo caporalmaggiore Salvatore Di Caccamo, mentre attende l’arrivo del feretro dell’amico. Del collega scomparso il militare ricorda un episodio che testimonia l’attaccamento al lavoro del ventottenne: "Stavamo lavorando a una recinzione in Libano.
Nel corso del lavoro si è ferito ad un braccio e naturalmente gli avevano assegnato dei giorni di riposo. A lui questo pesava, non voleva restare fermo una settimana. Voleva tornare subito al lavoro. In Afghanistan era una persona sempre presente, bella su di lui si poteva sempre fare affidamento".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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