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Una romena uccise Calcagno: incastrata e subito scarcerata

Il barbone venne accoltellato due mesi fa al Tintoretto «Voleva violentarmi» ha detto la donna agli inquirenti

Una romena uccise Calcagno: incastrata e subito scarcerata

Rischiava di restare un caso relegato a riempire una già triste statistica: quella dei clochard morti a Roma negli ultimi mesi, una dozzina da ottobre a oggi. Ma gli inquirenti della squadra mobile romana hanno dato un nome all’assassino, o meglio all’assassina, di Pietro Calcagno, 44 anni, disadatto originario di Potenza trovato morto su una panchina di un parco al Tintoretto il pomeriggio dell’8 novembre. Referto dell’esame autoptico alla mano («Calcagno morì dissanguato colpito alla gola da una lama appuntita»), aiutati da alcuni reperti (tra cui indumenti di donna) rinvenuti in una tenda di cartoni e lamiere a cinquecento metri di distanza dal luogo del ritrovamento del cadavere, gli investigatori della terza sezione di via Genova, hanno man mano ricomposto le tessere di un puzzle che alla fine di dicembre è apparso finalmente chiaro. Ad ammazzare Calcagno con un fendente netto alla gola, Ana S., una romena di 37 anni, armata di coltello. «Quell’uomo m’è saltato addosso ubriaco, voleva violentarmi - ha raccontato la donna agli inquirenti -. Ho cercato di allontanarlo ma non c’è stato verso. L’ho colpito disperata». Versione ritenuta credibile dai poliziotti ma anche dal gip del tribunale di piazzale Clodio, Zaira Secchi, che non rilevandone la pericolosità, qualche giorno fa ne ha disposto la scarcerazione.
Calcagno era accasciato su una panchina nel parco che costeggia via del Tintoretto quando i vigili urbani dell’XI Gruppo, quel pomeriggio, fecero la macabra scoperta. Sul collo il solco di una ferita di 3-4 centimetri, poi una lunga scia di sangue. Il clochard, conosciuto da molti in zona ma identificato solo nei giorni successivi, s’era trascinato fin là spingendo un carrello pieno di sacchetti di plastica e masserizie. Percorrendo i suoi passi a ritroso, seguendo ancora tracce di sangue, gli uomini di Eugenio Ferraro, capo della III, arrivarono alla baracca. All’interno elementi preziosi: la ricevuta di un versamento di denaro in Romania e una tessera di un pub della zona, entrambi con i nomi della 37enne. Gli inquirenti, dopo aver rintracciato l’agenzia di trasferimento di denaro e visionato le cassette del sistema a circuito chiuso, grazie all’orario riportato sulla ricevuta, sono quindi risaliti ad Ana, che di fatto viveva nella tenda. Il titolare del pub, di cui la donna aveva la tessera, ha raccontato che la straniera aveva lavorato per qualche tempo nel locale, fornendo ai poliziotti il suo numero di cellulare. Risultato, però, disattivato. «A quel punto - spiega Ferraro -, ottenuti i tabulati, ci siamo resi conto che Ana, in particolare, contattava spesso due utenze telefoniche appartenenti a un 35enne musicista italiano ma con origini argentine e a un 50enne, un piccolo imprenditore di Roma». Del primo la donna s’era invaghita, col secondo aveva rapporti saltuari. Ana, infatti, che viveva d’espedienti, qualche volta si prostituiva. È stato quest’ultimo a dire ai poliziotti che proprio la sera dell’8 novembre aveva incontrato l’amica, piena di ecchimosi sul corpo e sul volto, insolitamente trasandata e nervosa.

«Mi ha chiesto dei soldi in prestito per affittare una camera d’albergo, poi non l’ho più vista». È invece convincendo il musicista a fissare un appuntamento-esca con la donna che gli agenti sono riusciti a incastrarla.
alemarani@tiscali.it

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