Roma - «Come ha fatto a saperlo? Ora lo scopriranno tutti... cominceranno a copiarmi!». E la splendida bocca “che può dire ciò che vuole”, ride smagliante. Ma il segreto di Virna Lisi non siamo noi a svelarlo: lo raccontò anni fa il suo agente, Matteo Spinola. Ogni volta che la biondissima si metteva in posa per una foto con altri attori, stava attenta a posizionarsi sempre come prima a sinistra, rispetto al fotografo. «Perchè? Ma è ovvio! Perchè poi, quando la foto appariva sui giornali, io ero sempre la prima a essere citata nella didascalia. “Da sinistra a destra...”». E ride ancora, di cuore. Malizia col trucco che la dice lunga sulla prontezza di spirito della star dal volto di zucchero e il carattere di ferro. «Quand’ero giovane e facevo la pubblicità (ricorda? quella dello slogan “con quella bocca può dire ciò che vuole”) in realtà dovevo tenermi tutto per me. Così, oggi che sono nonna, mi prendo il lusso di dire tutto quel che penso».
Che non si profila all’orizzonte alcun erede di Virna Lisi, ad esempio. Come ha dichiarato di recente.
«Proprio così. L’ho cercata tanto, ma un’altra come me - una che unisca talento, bellezza e professionalità, come ho fatto io in cinquantaquattr’anni di carriera- oggi non c’è. Viva la faccia della modestia, eh?»
Viva la faccia della sincerità. E cos’altro vuol prendersi il lusso di dire?
«Che non giudico le colleghe che tentano di esorcizzare il tempo grazie al bisturi. Ma che non capisco chi arriva a stravolgersi i connotati fino a diventare un mascherone».
Insomma: “Le mie rughe sono le mie medaglie”, come disse anni fa in una nostra intervista.
«Davvero ho detto una frase così bella?».
E visto che siamo in vena di sincerità: quale altro sassolino vuol togliersi dalla scarpa?
«Questo. Ci sono in giro troppi attori cani. Soprattutto nelle fiction. Facce belle e deficienti, che non significano nulla, che non esprimono niente. Ma perché questi signori non se ne stanno a casa loro? Recitare significa studiare, impegnarsi, sacrificarsi. E avere talento, soprattutto».
Dunque anche per lei pollice verso contro la fiction italiana, come nella recente polemica?
«Un momento. La fiction italiana sono proprio questi attori cani, ad affossarla. Tanto che la maggior parte delle fiction non bisognerebbe neppure guardarle, per quanto sono fatte male. Copioni senza capo né coda, dialoghi assurdi... Però ce ne sono anche di belle. Allora mille volte meglio una buona fiction che un brutto film. E poi personaggi completi come quelli che m’ha offerto la tv, al cinema non mi sono mai toccati».
Include nel novero anche la nonna-giudice di Fidati di me?
«Certamente. E proprio perché è il personaggio di una madre e di una nonna, prima ancora che di un magistrato. Un ruolo che ho amato molto: ci ho messo dentro l’anima».
Ma ci sono ruoli che ancora le mancano? Quali vorrebbe aggiungere alla propria, personale galleria?
«Ho nostalgia della commedia! Sono brava a piangere, d’accordo; ma credo di saper far anche ridere. Ho recitato con Germi, con Monicelli... a Hollywood giravo soprattutto film brillanti! Dipenderà del fatto che a casa nostra la commedia è ritenuta un genere meno illustre, rispetto al dramma».
Non tutti sanno che lei ha anche fatto del teatro, e ai massimi livelli: debutto con Giorgio Strehler ne I Giacobini di Zardi, spettacoli con Antonioni, con Lattuada...
«Ma durò solo sette anni. Il teatro t’impegna troppo a lungo, per troppi mesi. E al lavoro io ho sempre anteposto la mia famiglia. Fu proprio per loro che dissi il mio “no” più clamoroso. A Luchino Visconti».
Che ricordi ha dei grandissimi con cui ha lavorato?
«Infiniti. Ricordo Jack Lemmon: professionalmente il migliore e umanamente impagabile. Ricordo Richard Burton: quando con la sua Rolls andavamo sul set, cantava a squarciagola arie di opere italiane. Henry Fonda era un gran signore; Anthony Quinn, invece, laconico e irsuto. Il più raffinato di tutti? David Niven. Lo conobbi a Montecarlo, ad una festa di Grace Kelly dedicata ai divi del segno dello Scorpione. C’erano anche Liz Taylor, William Holden...».
E i miti di casa nostra?
«Mastroianni e la Magnani. Marcello, in qualunque parte del mondo lavorasse, portava con sé un segretario incaricato di fargli le polpette come le faceva mamma sua.
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