Rutelli assolda i critici «amici»

Il vero scandalo l’abbiamo sempre denunciato. Ed è il fatto che vengano finanziati con i fondi pubblici film inguardabili, roba in grado di far addormentare in sala anche i cinefili più incalliti. Del resto, basta assistere a una proiezione riservata alla stampa in un festival del cinema, per imbattersi in russatori dal volume più alto di quello della pellicola.
Se possibile, poi, in questo momento, lo scandalo è acuito dal fatto che si finanziano con fondi pubblici film inguardabili in grado di far addormentare anche i cinefili più incalliti, nel momento in cui si mettono più tasse per tutti e si fanno pagare ticket su qualsiasi tema dello scibile umano.
Se possibile, poi, ora e sempre, lo scandalo è ulteriormente acuito dal fatto che alcuni di quei film hanno totalizzato nelle sale un numero di spettatori inferiore a quello del numero dei membri della commissione giudicatrice. E, purtroppo, non è una battuta o un paradosso. Parlano i tabulati ufficiali, dati Siae alla mano.
In questo quadro, è chiaro che la nomina di un gruppo di giornalisti, registi e cinematografari nelle commissioni che distribuiscono fondi per il cinema, non è uno scandalo. Anzi, se ci mettono gente che capisce di cinema, potrebbe anche non essere un male. Addirittura, se ci mettono i russatori di cui sopra, si spera che gli stessi facciano un filo più di attenzione nel dare soldi a pioggia a film destinati poi a farli dormire, con effetti migliori della melatonina.
Però, c’è un però. Fra i distributori di finanziamenti pubblici nominati dal ministero dei Beni Culturali guidato da Francesco Rutelli - come racconta il nostro Michele Anselmi, che su questa storia delle commissioni è una specie di bibbia che cammina, quasi malato dell’insana passione di sapere in anteprima i nomi dei componenti delle stesse - spiccano molti giornalisti: da Anselma Dell’Olio in Ferrara a Ludina Barzini. Su, su fino a Paolo Mereghetti e, soprattutto, a Natalia Aspesi. Cioè l’icona della critica cinematografica fin da quando si ha memoria dell’esistenza della critica cinematografica, dai tempi dei fratelli Lumière, di Lietta Tornabuoni o giù di lì.
Anche in questo caso, nessuno scandalo. Certo, la Aspesi - che è una che si fa leggere anche volentieri - è capace di spruzzare di antiberlusconismo anche la recensione di Olé o di trovare reconditi afflati filopadoaschioppeschi persino nell’ultima produzione della Cina interna. Ma, in fondo, sono problemi suoi. E, del resto, non so se siano un problema più grave gli afflati filopadoaschioppeschi o i film della Cina interna.
Però, resta un dubbio.

È normale che i critici cinematografici tuttora in servizio permanente effettivo siano chiamati a dare fondi a film che poi dovranno recensire o che poi dovranno recensire i loro colleghi di scrivania? In un Paese dove si grida in continuazione ai conflitti di interesse, non è un conflittino anche questo? L’ordine dei giornalisti, sempre molto attento ai tabulati telefonici o alle partecipazioni pubblicitarie dei suoi iscritti, non ha niente da dire?
Più che ordine, regna il disordine.

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