Sì della procura brasiliana all’asilo politico per Battisti

MilanoDopo mesi di stallo, il caso è ancora in bilico: libertà o estradizione in Italia? Il Brasile, complice l’estate, va per le lunghe e Cesare Battisti è ancora nel carcere di Papuda. Ora da Brasilia arriva una notizia che segna un punto a favore dell’ex terrorista dei Pac: il Procuratore generale del Brasile ha dato ragione al ministro della Giustizia Tarso Genro, che a suo tempo aveva concesso a Battisti l’asilo politico. Per Antonio Fernando De Souza la decisione è politica ed è espressione della sovranità dello Stato brasiliano. Dunque, il caso, a giudizio dell’alto magistrato, è chiuso e il processo deve finire ancora prima di cominciare.
Naturalmente, quello di De Souza è solo un parere, consultivo e non vincolante e la Procura generale appare storicamente schiacciata sulle posizioni dell’esecutivo. La partita è ancora tutta da giocare e la decisione finale spetta al Supremo Tribunal Federal, assai più indipendente, che dalle indiscrezioni dei mesi scorsi, appare spaccato al suo interno: il presidente Gilmar Mendes, per esempio, ha sempre detto di essere favorevole al «rimpatrio» di Battisti.
In ogni caso, le parole del Procuratore generale hanno un loro peso specifico e contribuiranno a formare una decisione che appare difficile: sul piano tecnico la magistratura si è sentita scavalcata dal potere politico e molti esperti ritengono che la richiesta dell’Italia sia ineccepibile; incredibile, invece, quasi surreale, la concessione dell’asilo politico a un assassino. L’Italia, anche quella della prima Repubblica, non è un Paese che violava i diritti umani e i processi si svolgevano e si svolgono regolarmente. Battisti è solo un ergastolano sfuggito in modo rocambolesco alla sua pena.
Dall’altra parte però pesa, come un macigno, la scelta di Genro. Il Supremo Tribunal Federal dovrebbe sconfessarlo creando un incidente istituzionale non di poco conto. Il tempo trascorso non ha raffreddato gli animi e la quadratura del cerchio non è stata trovata: i rapporti fra Roma e Brasilia sono andati in crisi, persino l’amichevole fra le due squadre di calcio è stata messa a repentaglio da un caso che appare sempre molto spinoso.
Battisti apparteneva a un gruppuscolo eversivo nato nella periferia milanese, i Proletari armati per il comunismo. Una meteora, ma anche un concentrato di ferocia: i Pac firmarono alla fine degli anni Settanta quattro imprese sanguinose fra Milano e il Nordest. Spararono a un macellaio, a un agente della Digos, al comandante delle guardie carcerarie del penitenziario di Udine. Ma l’episodio più clamoroso avvenne a Milano il 16 febbraio 1979: un gruppo di fuoco uccise l’orefice Pierluigi Torregiani, colpevole di aver reagito a una rapina e ammazzato un bandito. I Pac, dunque, vendicarono quel criminale e ferirono gravemente anche il figlio Alberto, da allora su una sedia a rotelle.
Battisti attende nel carcere di Papuda. Qui, secondo Luciano Pessina, un militante di Autonomia scappato a quelle latitudini nel 1984, sarebbe stato picchiato dalle guardie. Il fatto che sia ancora in cella fa però ben sperare le autorità italiane: di fatto il braccio di ferro fra la magistratura e il potere politico brasiliano è ancora in corso.

E dall’Italia partono altre bordate: «Se il Supremo Tribunale e il governo dovessero assecondare il parere del Procuratore - afferma il presidente dei senatori dell’Udc, Gianpiero D’Alia - all’Italia non resterebbe altro che interrompere le relazioni diplomatiche con il Brasile». La decisione finale arriverà nelle prossime settimane.

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