«Saddam Hussein è morto in 55 secondi»

Un esperto:« Usato un cappio all’inglese, con un altro l’agonia avrebbe potuto durare anche 15 minuti»

L’appuntamento con la morte per stavolta è rinviato. I boia li attendevano all’alba di ieri mattina, ma Barzan Ibrahim al Tikriti, fratellastro di Saddam ed ex capo dei servizi segreti iracheni, e Awad Ahmed al Bandar, ex presidente del tribunale rivoluzionario, sono rimasti in cella. In attesa dell’ineluttabile destino li consolerà sapere che l’agonia del loro capo si è conclusa in meno di un minuto. A rivelarlo è il referto del medico presente all’esecuzione dell’ex dittatore reso pubblico dalla tv Al Arabiya. Secondo quel referto, la morte è stata provocata dalla rottura delle vertebre cervicali ed è arrivata in 55 secondi esatti.
«Tutto merito dell’impiccagione all’inglese che garantisce la rottura dell’osso del collo anziché un lento soffocamento», spiegava ieri un ex procuratore giudiziario giordano incaricato per anni di controllare le impiccagioni nel suo Paese. «L’ esecuzione - ha raccontato l’esperto - è avvenuta usando una corda fabbricata all’estero da tecnici specializzati. Il tipo di paglia secca usata per formare la corda, l’intreccio dei fili, la larghezza del nodo, il grande spessore del cappio e la posizione a fianco della testa anzichè dietro al collo, confermano l’intenzione di evitare la morte per asfissia».
Secondo l’esperto giordano, «l’impiccagione tradizionale, con la quale si può rimanere in agonia anche per un quarto d'ora, s’effettua con una corda meno spessa, con un nodo molto stretto e con un cappio posto dietro il collo. La stretta del nodo al collo di Saddam Hussein era invece lenta per permettere al cappio di spingere in alto il mento del condannato e rompere di colpo le vertebre». Per finire, il puntiglioso esperto ha elencato i minuziosi, ma indispensabili controlli per un’impiccagione perfetta. «Prima di preparare il cappio – ha raccontato - bisogna misurare l’altezza, il peso, la pressione sanguigna e la distanza che separa il collo dal mento del condannato».
A regalare qualche spicciolo di vita a Ibrahimn al Tikriti e Ahmed al Bandar, i due coimputati di Saddam, condannati a morte come lui per la strage di 148 sciiti del villaggio di Dujail, sarebbero state le pressioni internazionali, la bufera sollevata dall’esecuzione del dittatore e i ripensamenti del premier iracheno Nouri al Maliki. Ma più delle richieste di clemenza avanzate dal nuovo segretario generale dell’Onu, il sud-coreano Ban Ki-moon, più delle proteste dei religiosi sunniti, indignati per quelle due nuove esecuzioni durante le celebrazioni dell’Eid al Adha, avrebbe pesato l’altolà di Washington. Un altolà discreto, ma decisivo.
Infuriata per le ricadute politiche provocate dallo scandaloso spettacolo dell’impiccagione di Saddam, la Casa Bianca avrebbe deciso di bloccare tutto. Almeno fino a quando non si saranno stemperate indignazione e polemiche per i cori inneggianti a Moqrada Sadr davanti al patibolo del dittatore. L’interferenza di Washington non viene ovviamente ammessa da nessuno. I portavoce di al Maliki si limitano a parlare di pressioni internazionali e ricordano che il governo ha già arrestato due guardie sospettate di aver ripreso con il videotelefonino l’esecuzione.
Da Washington il portavoce della presidenza Tony Fratto liquida tutto in poche parole. «La Casa Bianca si aspetta che i funzionari iracheni svolgano i loro compiti con la cura necessaria, non c’è altro da dire». Da quella dichiarazione trasuda, però, tutto il fastidio di Washington per il modo con cui è stata eseguita la condanna a morte di Saddam Hussein. Maliki e i suoi si guardano bene dall’ammettere di essersi fermati per ordine dell’alleato e ribadiscono che l’appuntamento con la forca è solo rinviato.
«Nessuno può fermare l’applicazione di quella sentenza, lo statuto della corte che l’ha emessa - dichiara il deputato Sami al Askari assai vicino al premier - non permette né al primo ministro, né al presidente la commutazione del verdetto e tantomeno il perdono. Nessuno può fermare le esecuzioni». Tutto, dunque, fa pensare che le forche rientreranno in funzione all’alba di domenica. «Arriveranno alla fine delle festività», ha confermato Askari. «Si faranno domenica», dice Baha al Araji, deputato del gruppo di Moqtada Sadr.

Un membro della commissione giustizia del Parlamento iracheno ha intanto definito «un pessimo modo d’iniziare il propro mandato» l’appello con cui Ban Ki-moon ha tentato fermare la prossima doppia impiccagione. Secondo il parlamentare, l’appello è «una grave ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano perchè – spiega - l’impiccagione dei due non è vendetta, ma giustizia divina garantita dalla la legge islamica».

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