Salomè vista da Wilde e rivista da Al Pacino

«Ricevere questo premio a Venezia è un onore. Sono qui alla Mostra per questo film personale e sperimentale. Questa è la mia storia». Accolto da decine di flash, ieri Al Pacino, giacca scura e pantaloni chiari, è stato il mattatore del Lido. Se si dovesse usare l’applausometro certamente il regista di Wilde Salome passato fuori concorso, vincerebbe il confronto con le tante star finora in passerella. Un boato di applausi l’ha accolto alla conferenza stampa al Palazzo del Casinò. E un’ovazione gli ha tributato il pubblico che ha partecipato alla cerimonia per la consegna del premio Jaeger-LeCoultre, quasi un altro Leone d’oro alla carriera (ne ebbe uno diversi anni fa), che ha preceduto la visione della sua ultima opera. Settantun anni e un risorgente amore per il teatro nel quale è nato come attore, dopo Riccardo III di Shakespeare, qui alla Mostra ha presentato una complessa rilettura della tragedia di Salomé sulla scorta della versione di Oscar Wilde.
È stata proprio la passione per il poeta e drammaturgo irlandese a muoverlo. «Un genio visionario», l’ha definito Al Pacino. «Uno che ebbe il coraggio di andare controcorrente e di vivere su terreni pericolosi per quei tempi, anche per la sua sessualità». Pacino ha studiato a fondo la sua opera, prima per farne una lettura teatrale, poi per metterla in scena dentro canoni moderni, affidando a Jessica Chastain il ruolo della protagonista. «Quando l’ho vista ho capito che poteva essere solo lei. E lei ho voluto», ha sottolineato il regista. Wilde Salome è un complesso «making off» del film ma anche dell’opera teatrale. Abbandonata l’idea di farne un reading moderno, Pacino si è mosso a metà tra il teatro, il documentario e il cinema. Un complicato intreccio di piani e linguaggi nel quale si perde il conto di quante parti lui stesso interpreti in tragedia: regista e attore del film, regista e attore dell’opera teatrale, documentarista quando ci guida alla scoperta della vita e della personalità di Wilde con un viaggio nei luoghi del poeta.
Dunque, Wilde Salome è un film o un documentario? «Non è ne l’uno né l’altro», ha spiegato. «Quando ho cominciato non sapevo dove sarei arrivato. Avevo una visione, ma mi mancava una storia. È sempre brutto non avere un copione. Volevo fare un collage, mettere insieme delle cose che alla fine potessero mostrare quello che avevo in mente. E che anche facesse riflettere su chi fosse Oscar Wilde». Pacino ha poi ammesso che per arrivare a concludere il suo lavoro ha dovuto allontanarsene «come succede ai pittori per i quadri. Solo quando l’ho lasciato per cinque mesi ho avuto l’illuminazione per completare il lavoro. Anche perché volevo riprodurre ciò che ho sentito quando ho visto Salomé di Wilde». Tuttavia, le parti migliori dell’opera sono quella documentaristica che comprende il viaggio a Dublino, Londra e Parigi e i dialoghi con il nipote del poeta. E poi la parte finale, con la messa in scena quasi filata della tragedia, ben interpretata proprio dalla Chastain. In mezzo, qualche lungaggine e approssimazione nelle quali lo spettatore può rischiare di perdersi.

Salvo trovare ancoraggio nella sintesi fornita dal dublinese Bono (insieme a Tom Stoppard e Gore Vidal, uno dei testimonial coinvolti da Pacino): «Wilde scrisse un’opera sul potere distruttivo della sessualità sperando di liberarsene. Ma non ci riuscì». Salvo il diverso epilogo, una traccia valida anche per il protagonista di Shame, il film in concorso della giornata.
MCav

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