L'idea di organizzare corsi di trucco per le pazienti oncologiche le è venuta a New York, dove alle donne da anni viene proposto un tutorial di un paio di ore per utilizzare al meglio correttore e ombretto. E così Valentina Di Mattei, psicologa all'ospedale San Raffaele di Milano, gruppo San Donato, ha fondato la onlus «Salute allo specchio», di cui ora è vice presidente.
Dottoressa Di Mattei, parlare di trucco in un reparto sembra qualcosa di effimero. Perché invece non lo è?
«Non lo è per il semplice fatto che la prima domanda che una donna ci fa nel momento in cui le viene comunicata una diagnosi di tumore non è: starò male? Ma è: perderò i capelli? All'inizio i medici prendevano questa domanda come una specie di fallimento. Pensavamo di non aver comunicato con sufficiente chiarezza la gravità della situazione. Ora hanno capito l'importanza della cura dell'aspetto fisico ed è chiaro a tutti che aiuti davvero le pazienti a stare meglio».
Come funziona «la cura del mascara»?
«Ha un effetto anti-ansia, combatte lo stress e dà più sicurezza a chi invece si sente fragile e ha un crollo della propria autostima. Aiuta a reagire, infonde grinta e tutti questi elementi sono fondamentali per rendere più efficaci le terapie».
Che percorso seguono le pazienti?
«All'inizio sono reticenti, pensano sia tutto inutile, dobbiamo convincerle a partecipare ai corsi. Dopo tre giorni di incontri cambiano totalmente atteggiamento. Chiacchierano, condividono con le altre pazienti, sorridono. Si sentono più carine ed escono, magari vanno anche a cena fuori con il marito. Qualcuno di loro chi ha anche scritto per ringraziarci».
È così devastante per una donna cambiare aspetto?
«Ci si sente più esposte. A volte è un momento delicato anche per i figli che vedono la mamma senza capelli e sciupata. Allora noi facciamo partecipare anche i bambini alla prova delle parrucche. Oltre a quelle serie, ne mettiamo a disposizione altre colorate, per divertirsi un po' assieme e accettare la cosa con più leggerezza».
Al di là del trucco, finalmente la psicologia sta entrando nei reparti di oncologia.
«Prima lo psicologo veniva chiamato solo per casi particolari. Ora è già presente nello staff medico dal momento della diagnosi e accompagna i pazienti in tutto il loro percorso.
Uno dei momenti più difficili è quando viene conclusa la terapia. C'è spesso un senso di smarrimento, di vuoto. Noi lo colmiamo anche organizzando passeggiate di gruppo nel parco vicino all'ospedale con un coach. È un modo per stare insieme e per mantenere un legame».MaS
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