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Salvarono i clandestini, ma andranno alla sbarra

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A processo. Per violenza privata. Violenza nei confronti di settantacinque clandestini che erano stati salvati in mezzo al mar Mediterraneo, caricati su una nave della Guardia di finanza e riaccompagnati al punto di partenza, in Libia. Un’operazione condotta in esecuzione della legge e dell’accordo stipulato fra Roma e Tripoli. La norma parla di riconsegne e respingimenti, a seconda delle modalità, ma la procura di Siracusa utilizza un altro linguaggio, quello del codice penale. E spedisce a dibattimento, senza dover passare dal gip, il prefetto Rodolfo Ronconi, direttore della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, e il generale delle Fiamme gialle Vincenzo Carrarini. I due rischiano sulla carta quattro anni di carcere e anche più.
È un’inchiesta davvero surreale quella che arriva dalla Sicilia. Un’indagine anticipata dal Giornale l’8 dicembre scorso. La procura di Siracusa aveva iscritto nel registro degli indagati i componenti dell’equipaggio di un pattugliatore delle Fiamme gialle, il «Denaro», che alla fine di agosto 2009 aveva intercettato al largo di Portopalo, in acque internazionali, il barcone stracarico di migranti, come li chiama la magistratura di Siracusa con un vocabolario da Caritas. I settantacinque clandestini erano stati salvati e poi affidati alle motovedette libiche che li avevano riportati a Tripoli, come previsto dalla normativa. Ma in questo modo, secondo il procuratore Ugo Rossi, fu impedito in linea teorica agli extracomunitari di far valere i propri diritti e di ottenere lo status di rifugiati politici. Ora l’inchiesta è finita: i militari se la sono cavata e per loro la pratica finisce in archivio. In sostanza, agirono «in esecuzione di ordini superiori non manifestamente illegittimi». Per i pm questa giustificazione non tiene invece per i vertici della catena di comando, il prefetto e il generale. Non erano, ovviamente, a bordo del «Denaro» ma sono i responsabili ultimi della politica attuata dalle nostre unità militari. E dunque dovranno rispondere di violenza privata. Rossi spiega anche puntigliosamente le motivazioni del provvedimento: «L’imputazione non concerne direttamente la cosiddetta politica dei respingimenti e in particolare non attiene alla legittimità in sé degli accordi sottoscritti fra Italia e Libia». Ci mancherebbe. E allora? «Nel caso specifico - prosegue Rossi - si ritiene che il rinvio sia avvenuto senza assicurare il rispetto di diritti riconosciuti agli stranieri che, pur clandestinamente, cercano di raggiungere l’Italia e sono soggetti a tutte le leggi italiane dal momento in cui sono saliti a bordo di una unità navale militare italiana in acque internazionali, equiparata a tutti gli effetti al suolo italiano». A quanto sembra, dalle carte dell’inchiesta, nessuno dei settantacinque sollevò il problema, nessuno invocò lo status di rifugiato, nessuno disse nulla, ma al procuratore non basta. «C’è l’assoluta convinzione - rimarca oggi il capo della polizia Antonio Manganelli - che l’azione si sia svolta nel pieno rispetto della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti in materia». Ma Rossi, che ad ottobre aveva definito «un fatto gravissimo» le parole dette da Berlusconi contro i giudici a Ballarò, la pensa in tutt’altro modo: anche se ci si trova in acque internazionali occorre distinguere e dividere i potenziali rifugiati dai clandestini a tutti gli effetti. I primi, individuati non si sa bene come in mezzo agli altri, resteranno in Italia, i secondi verranno rispediti da dove sono venuti. Che cosa avrebbero dovuto fare i militari del pattugliatore? Chiedere a ciascuno: «Lei è forse è un rifugiato?». Non solo. A leggere attentamente il ragionamento di Rossi si ricava che è stato proprio il gesto di umanità, l’aver accolto i clandestini a bordo di una nave italiana, ad aver fatto scattare il reato.

Se i finanzieri li avessero abbandonati al loro destino l’illecito non sarebbe stato consumato? «Questa è un’intimidazione bella e buona al governo italiano e alla sua politica - spiega al Giornale il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano - e del resto a settembre, in un convegno tenuto a Lampedusa, Magistratura democratica e il Movimento per la giustizia hanno definito operazioni illegali i respingimenti. Ma noi non ci lasceremo condizionare».

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