Roma
- Riassunto delle puntate precedenti. Dopo alcuni addii pesanti e dolorosi
(come quelli dell’economista Nicola Rossi e dell’ex direttore de l’Unità
Peppino Caldarola), uno degli intellettuali più amati della sinistra,
Michele Serra, in una intervista al Giornale, rivela il suo «disincanto», la
sua distanza dal dibattito nella Quercia («È criptato»). E aggiunge: «Non
parteciperò al congresso, non ho più la tessera da anni, il Partito
democratico non mi appassiona». La notizia rimbalza sulle agenzie ma -
stranamente - non suscita nessuna reazione ufficiale del segretario dei Ds,
dei suoi vice, del responsabile organizzazione, dei capigruppo. Alcuni
dirigenti, cercati da noi, declinano l’invito a commentare: Gavino Angius ha
l’influenza, il sottosegretario Vannino Chiti è impegnato in un tour di
dibattiti, Marina Sereni - capogruppo alla Camera - è impegnata in una
riunione fiume per tutta la giornata. Strano.
Chi invece accoglie l’intervista come una manna sono i leader delle
minoranze. «Condivido senso e ispirazione», spiega il portavoce della
mozione Zani-Angius, Alberto Nigra. E ancora più entusiasmo dimostra il
leader della sinistra interna, Cesare Salvi.
Davvero è d’accordo, senatore Salvi?
«Sono un “serriano” di ferro, direi».
In senso ideologico?
«In tutti i sensi. Leggo quotidianamente la sua Amaca, su La Repubblica e
sottoscrivo nel dettaglio le sue critiche. Per molti, a sinistra, le sue
parole sono un interessante e originale punto di riferimento».
Dice Serra che il nuovo partito non parla dei problemi che stanno a cuore a
lui e a molti elettori della sinistra.
«È verissimo. Ed è un paradosso. In realtà si potrebbe addirittura ribaltare
tutto».
In che senso?
«Che il Partito democratico, invece che su assurde fumisterie burocratiche,
potrebbe essere costruito intorno alle rubriche di Serra: uno come lui
dovrebbe essere il target ideale del Partito democratico».
Ma lei questo partito non lo vuole, però.
«Io trovo che la discussione sul partito, oggi sia burocratica e
autoreferenziale».
Lei è durissimo con Fassino e Rutelli.
«Il loro mi pare lo sforzo burocratico di due leadership vacillanti che
provano a puntellarsi l’una con l’altra».
Ma Fassino dice che lui ha vinto tutte le elezioni...
«Dieci anni fa i Ds viaggiavano fra il 20 e il 22%. Adesso sono al 17%!
Contento lui....».
Torniamo a Serra. Dice che il dibattito è «criptato».
«Ha provato a leggere una intervista di qualcuno di questi leader sul
partito democratico? Ci vuole davvero il traduttore. Sono fatte per essere
lette tra di loro, le capiscono solo nelle segreterie».
Dice Serra che la Svolta della Bolognina era appassionante, e questa no.
«Non c’è paragone. Io iniziai a fare politica allora».
Ma anche lei viene dalla famiglia postcomunista come tutti gli altri
dirigenti.
«A dire il vero, faccio vita di dirigente solo dal 1989. Prima ero solo un
avvocato del Pci».
Lei è coetaneo di Mussi, D’Alema, Fassino...
«Abbiamo la stessa età, ma non la stessa storia. Io faccio politica da 15
anni e loro da 40. C’è una bella differenza. Come militanza sono uno dei più
giovani».
Lei non vuole che i Ds si sciolgano.
«Ho fatto una scelta drammatica abbandonando l’identità comunista per quella
socialista europeo. Non mi sposto più».
Ma Fassino dice che non sarà l’ultimo congresso.
«Può dire pure che ce ne saranno 300! Ma se c’è un partito nuovo, logica
vuole che quello guidato da lui finisca».
E lei ne farà un altro?
«Io resto dove sono».
Serra vuole meno Marx, e più Carlo Petrini, quello di Slow food...
«Ah, ah, ah...»
Prego?
«Io Slow food lo adoro».
...ama la «deriva zapateriana» che turba i centristi.
«Sottoscrivo in pieno. L’hanno fatta diventare quasi una parolaccia!
L’intransigenza sui nuovi diritti, oggi a sinistra, fa venire l’orticaria a
molti».
Lei è più critico di Serra.
«Capisco che dica: “Non mi interessa” il congresso».
Perché?
«I Ds si dicono di sinistra, ma hanno parole d’ordine di destra: un bel
paradosso».
Parole d’ordine riformiste...
«Riformista, aveva ragione Cofferati, è parola malata».
Inviterà Serra a sostenere la sua mozione, allora?
«Per carità. Resti dov’è, continui a romperci le scatole, continui a scrivere. Ci aiuta più la sua rubrica di cento documenti illeggibili».
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