È cominciata bene per Michele Santoro la nuova attività di venditore di bicchieri, come si è definito nella puntata di Annozero. Venti per cento di share per la prima puntata della nuova stagione, con Vauro e Travaglio ancora privi di contratto ma presenti comunque in studio, gratis, ligi alla causa antiberlusconiana. Così come il fedele Corrado Formigli, diviso tra l’intervista a tappe con uno stantio Beppe Grillo e la lunga disquisizione sulla carta intestata del governo di Saint Lucia. Una dotta analisi sulla stamperia di stato caraibica smentita in poche ore dai colleghi di altri giornali che si sono buttati sulla vicenda con animo del tutto diverso da quello dei santoriani.
Lo scivolone di Formigli è l’emblema del nuovo corso di «Michele chi», apparso lontanissimo dalle stagioni più felici. L’eroe di tante battaglie mediatiche, l’inventore del nuovo stile dell’inchiesta tv, ha sempre confezionato programmi a tesi, con un bersaglio unico e scontato: il Cavaliere. Ma lo faceva scavando, intervistando, portando le telecamere dove altri non arrivavano. Se dava voce al figlio di Ciancimino, si portava in studio l’avvocato Niccolò Ghedini. Il giorno in cui santificò Patrizia D’Addario offrì il microfono a Maurizio Belpietro, direttore di Libero, e Nicola Porro, vicedirettore del Giornale. E quando sparò alzo zero sul Vaticano per lo scandalo della pedofilia fece accomodare monsignor Rino Fisichella.
Il sale del programma era lo scontro tra parti contrapposte, la trasformazione dello studio in uno stadio con tanto di «ola» del pubblico tifoso. Se gli ospiti riferivano circostanze sbagliate, lui interveniva a correggere e precisare. Alla fine raggiungeva l’obiettivo fissato in partenza di colpire Berlusconi, ma ci arrivava facendo salve le apparenze. Ora invece ha rinunciato anche a quelle, abbandonandosi a una deriva di cui già l’anno scorso si scorgevano avvisaglie: quando tentò di impallinare il sottosegretario Cosentino, il rappresentante del centrodestra in studio era il pasdaran finiano Fabio Granata. Non parliamo dell’atto unico di Raiperunanotte.
Giovedì sera l’involuzione del Santoro pataccaro è apparsa completa. Pdl assente. Il leghista Roberto Castelli, piuttosto tiepido sulla vicenda di Montecarlo, usato come foglia di fico del centrodestra. Fuoco amico con Di Pietro, Bocchino, Travaglio, Formigli, Vauro, Ruotolo in trasferta napoletana. A Bocchino libertà di interrompere, a Castelli divieto di finire un discorso, a Di Pietro licenza di sproloquiare, al punto che l’ex ministro ieri ha dovuto rimangiarsi le cose dette sull’autorizzazione a procedere negata a Pomicino, Di Donato e De Lorenzo. La giovane Giulia Innocenzi trattata come un soprammobile quando ha dato la parola a Chiara Colosimo, giovane consigliere regionale del Lazio con un passato in An, tacitata dopo pochi secondi.
Santoro è sempre stato il giudice unico di un tribunale dove si celebravano processi destinati a finire in condanne decise a priori, ma giovedì mancavano imputati e avvocati. Negli anni migliori, Santoro si sarebbe tuffato sullo scandalo di Montecarlo, avrebbe sguinzagliato i segugi nel Principato, avrebbe registrato le interviste che gli altri non erano riusciti a ottenere. Travaglio avrebbe fatto i conti in tasca a Fini e agli amministratori del partito, Formigli sarebbe volato in Costa Azzurra e Ruotolo ai Caraibi. Tutte cose lasciate in appalto al Fatto quotidiano per abbracciare «a prescindere» la tesi (smentita in tempo reale) della patacca, del dossieraggio, dei servizi deviati, di Berlusconi come mandante nemmeno troppo occulto.
La nuova parola d’ordine della banda Santoro è «salvate il soldato Fini» a qualunque costo. Soltanto in coda alla trasmissione Michele ha detto a Bocchino: «Fini dovrebbe dire: “se dovesse emergere che la casa è di mio cognato io lascio la politica”».
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