Non ho particolare simpatia per Giorgio Napolitano e debbo dire che fino a qualche mese fa non m’ispirava nemmeno molta fiducia. Innanzitutto per la sua storia di rosso antico e poi perché alcuni amici, che in passato lo avevano conosciuto, me l’hanno descritto come un comunista moderato, capace di moderarsi a tal punto da annullarsi dentro il suo stesso partito. L’unica volta che gli veniva dato atto d’aver mostrato la spina dorsale, fu da ministro dell’Interno, giungendo – quando fu necessario – anche a usare il pugno di ferro. Dunque, Viminale a parte, nei confronti del capo dello Stato ero piuttosto scettico. Ma ultimamente alcune sue mosse mi hanno indotto a rivedere il giudizio.
Anziché interpretare il ruolo tronfio e arrogante che impersonò il campanaro della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, o quello di finto notaio dello Stato specializzato in discorsetti retorici come fu Carlo Azeglio Ciampi, Napolitano preferisce parlar meno, ma parlar chiaro. Magari le frasi giungono con un certo ritardo sulla storia, come quelle sui fatti d’Ungheria (30 anni tondi di riflessione prima di ammetterne l’infamia) o sulle foibe, ma almeno arrivano e sono nette. Risoluta è stata pure la risposta sulla piazza. Al sacrestano cattocomunista Prodi, che pur di lisciare il pelo – senza successo, come s’è visto – alla sinistra estremista, era giunto a dire che manifestazioni come quella di Vicenza sono il sale della democrazia, Napolitano ha ribattuto che la democrazia la si fa in Parlamento.
Insomma, in questi mesi, l’inquilino del Quirinale è sembrato voler spazzare via molto di quel ciarpame ideologico di cui è ingombra la via della politica nazionale, senza darsi pena se gran parte di quei detriti sono stati lasciati dalla fazione da cui lui stesso proviene. Probabilmente Napolitano vuole dimostrare di essere non il presidente venuto da lontano che appoggiò i carrarmati russi a Budapest, ma quello di tutti gli italiani.
Se è questo il suo intento, nelle ore che seguiranno ha un’occasione unica per darcene dimostrazione, gestendo la crisi di governo senza farsi tirare per la giacchetta come molti nel centrosinistra vorrebbero. La maggioranza battuta al Senato spera in un immediato reincarico a Prodi. Così il presidente del Consiglio tornerebbe alle Camere, si farebbe votare la fiducia, e poi continuerebbe come se nulla fosse accaduto, fingendo d’avere una solida maggioranza. Ma siccome pur di vincere le elezioni il centrosinistra ha raccattato qualsiasi voto e ha lasciato che Rifondazione e Pdci cercassero consensi nelle fasce più estremiste, oggi la solidità che serve al governo non c’è. E il motivo è chiaro: gli ultrà di sinistra vogliono passare all’incasso delle promesse che vennero fatte loro, ma né Bertinotti (da quando ha indossato il gessato ha subìto una metamorfosi: non sogna più la rivoluzione e neppure Lenin) né Prodi possono saldare quella cambiale. Sulla politica estera, sui rapporti con gli Usa, sulla legge Biagi, sulla Tav, sui Pacs la maggioranza non è in grado di accontentare la sinistra estrema.
Napolitano, dunque, se vuole dimostrare d’essere il presidente degli italiani, non può cedere a chi vorrebbe organizzare manifestazioni di piazza a favore di Prodi. Non può accondiscendere a un nuovo governo che già traballa. Di fronte a sé il capo dello Stato ha solo due strade: quella di un esecutivo istituzionale o quella di nuove elezioni.
Nei prossimi giorni vedremo se il presidente ha il coraggio e la forza di mettersi contro i ras che lo hanno eletto. Diversamente vorrà dire che è prevalso il richiamo della foresta. Rossa.
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