Elena Pontiggia
Alla Fondazione Marconi, in via Tadino 15, è aperta una grande mostra su Schifano, uno dei maggiori protagonisti di quella sorta di Pop Art italiana, nata a Roma negli anni Sessanta, che ha preso il nome di «Scuola di Piazza del Popolo». La mostra si concentra proprio sul lavoro dell'artista dal 1964 al 1970, che è anche l'epoca della Pop Art propriamente detta. Nel 1964, infatti, il movimento di Andy Warhol e compagni si impone alla Biennale di Venezia. Per la verità Schifano sosteneva che i suoi lavori c'entravano poco con quelli degli artisti statunitensi. E, al di là dei diritti di primogenitura (nel 1962 e nel 1963 era stato in America, e quindi aveva conosciuto bene quanto si faceva là) non aveva tutti i torti. Nella sua pittura, infatti, ci sono radici e suggestioni diverse da quelle Pop. Una delle opere esposte da Marconi, ad esempio, è «Futurismo rivisitato», del 1965, in cui riprende una famosa fotografia futurista, scattata a Parigi nel 1910, dove compaiono Marinetti, Boccioni, Carrà. Schifano li riduce a sagome senza volto, velando l'immagine con pannelli colorati di perspex: è ancora una fotografia, ma è la fotografia di un ricordo. Di una cosa, insomma, che non esiste più o che, forse, non è mai esistita.
La stessa sensazione si avverte in un'altra opera in mostra, «Compagni compagni». Qui Schifano parte dalla fotografia di piccoli gruppi di lavoratori cinesi, con la debita falce e martello e la scritta da volantino «Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno alla società» (allora si parlava, e soprattutto si scriveva, così). Anche qui l'effetto è di straniamento, di irrealtà. Forse tutto il vitalismo della pittura di Schifano, così facile e veloce (si diceva di lui che dipingesse un quadro al giorno, e anche di più) non era che una reazione a quel presagio di disfacimento, di inesistenza, che sentiva in tutte le cose.
Schifano era nato a Homs, in Libia, nel 1934, da genitori italiani. Suo padre, archeologo e restauratore piuttosto conosciuto, si trovava là per lavoro. Nel dopoguerra il ragazzo si era trasferito con la famiglia a Roma e, dopo uno svogliato periodo di studi, aveva cominciato a lavorare. Aveva fatto di tutto, dal commesso al disegnatore di planimetrie di tombe presso il museo etrusco di Villa Giulia, ma presto si era stancato di quelle attività precarie e si era dedicato alla pittura. Il successo arriva quando, verso la metà degli anni Sessanta, le sue tele si popolano di immagini tratte dalla scena urbana. Affiorano allora, sotto la pelle del colore, una miriade di segni, tra cui i marchi aziendali della Esso e della Coca Cola.
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