Schwarzenegger finisce al tappeto La California boccia le sue riforme

La maggioranza degli elettori dice no a tutti e quattro i referendum del governatore

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Erano elezioni locali, quelle di martedì qua e là per gli Stati Uniti. Il Partito democratico non aveva candidati «nazionali» e forse per questo è uscito dalla prova meglio del Partito repubblicano, che ne aveva tre. Uno ha vinto, anzi stravinto: il sindaco di New York Michael Bloomberg. Gli altri due hanno perso, anche se non erano candidati. Il risultato di più intenso impatto mediatico è quello della California, dove Arnold Schwarzenegger, che ha visto bloccate le sue iniziative di governatore repubblicano dalla cocciuta maggioranza democratica nel Parlamento locale, aveva fatto ricorso, per sbloccare le sue necessarie riforme, a un referendum. Anzi a quattro: aveva gettato tutto il suo appoggio dietro le «iniziative» che riguardavano: 1) mettere un limite alla spesa pubblica; 2) limitare il potere dell’assemblea dello Stato nel ridisegnare i collegi elettorali; 3) aumentare da due anni a cinque gli anni di attività dopo i quali un insegnante potrà essere in cattedra a vita; 4) mettere un freno alla diretta influenza economica dei sindacati sulle campagne elettorali. A tutte queste proposte la maggioranza dei californiani ha risposto no, il che diminuisce di fatto il prestigio e dunque il potere del governatore. Schwarzenegger era stato fino a qualche mese fa molto popolare nello Stato che era stato eletto quasi a sorpresa a guidare; ma poi le sue quotazioni erano cadute rapidamente. Adesso sembra in pericolo perfino la sua rielezione.
Il risultato della California potrebbe avere conseguenze politiche nazionali perché Schwarzenegger, che pure non potrà candidarsi alla presidenza in quanto la Costituzione lo vieta ai cittadini americani nati all’estero, è considerato un po’ l’alternativa «moderata» a George Bush e quindi una possibilità per il Partito repubblicano di prendere eventualmente in tempo le distanze se la «linea» dura seguita finora dalla Casa Bianca e dai leader al Congresso di Washington dovesse rivelarsi eccessivamente impopolare. Schwarzenegger potrebbe essere un alleato di Bloomberg, che non ha finora annunciato ambizioni presidenziali ma che, a differenza del governatore della California, può farlo in ogni momento.
Ci sono diversi indizi che questo potrebbe accadere, alcuni dei quali rivelati o confermati dalle elezioni di martedì. Bush, naturalmente, non era candidato, però è stato un importante fattore alle urne. In particolare in Virginia, Stato che lo aveva rieletto massicciamente un anno fa, che doveva eleggere il governatore e in cui il presidente si è impegnato di persona nella campagna per il candidato repubblicano Jerry Kilgore, esponente dell’ala destra e autore di una campagna elettorale molto aggressiva, quasi sulla falsariga di quella presidenziale condotta da Karl Rove. Ad esempio il candidato democratico Tim Kaine, cattolico e contrario alla pena di morte, era stato attaccato con l’argomento che «non avrebbe mandato al patibolo nemmeno Hitler». Kaine ha vinto egualmente e così, nel New Jersey il suo compagno di partito John Corzine.

In ambedue gli Stati si è avuto uno slittamento verso i democratici di elettori fino a ieri repubblicani, soprattutto fra le donne e le persone di condizione economica e culturale medio alta. Un dato che conferma una tendenza recente, dovuta in gran parte alla crescente impopolarità della guerra in Irak. Le quotazioni di Bush nei sondaggi nazionali continuano ad essere, infatti ai minimi storici.

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