Il deputato Domenico Scilipoti, ex Italia dei valori e ora cofondatore del Movimento di responsabilità nazionale, è malato. La tensione gioca brutti scherzi. «Ma il 14 sarò in Parlamento anche con 40 di febbre per salvare l’Italia da gente che può creare danni irreversibili al Paese», garantisce al telefono dal letto di dolore.
Onorevole, sa che alla manifestazione dipietrista di Bologna è stato sbeffeggiato in tutti i modi?
«Mi hanno raccontato qualcosa».
Travaglio non riusciva a pronunciare il suo cognome.
«Un gioco puerile. È un intellettuale di terz’ordine».
Di Pietro ha fatto il paragone con il marito cornuto che si taglia gli attributi in odio alla moglie.
«Mi spiace l’abbia messa sul personale, io non odio nessuno. Mi sono posto un problema che dovrebbero porsi tutti i colleghi: c’è un momento di grande difficoltà e ai parlamentari si impedisce di esprimere in libertà un giudizio nell’interesse del popolo. Se non segui gli ordini di partito sei tagliato fuori».
Quando si vota una fiducia non è normale ricevere ordini?
«Da tempo l’Italia dei valori sta deragliando. Io faccio il medico, sono un cattolico moderato, provengo dall’area socialdemocratica saragattiana e su tante questioni ho opinioni diverse da quelle che prevalgono nel mio ex partito».
Quali?
«Il testamento biologico, la pillola Ru486 che per me è un abortivo, l’eutanasia che considero un suicidio assistito. L’Idv si sposta ogni giorno sempre più a sinistra, non posso più condividerlo».
Perché ha aspettato il voto di fiducia per uscire?
«Il malessere esisteva da tempo. Il mio lavoro parlamentare non è stato apprezzato. Mai che una mia proposta di legge sia stata calendarizzata».
Per esempio?
«La modifica delle norme sull’usura bancaria. Il tema delle medicine non convenzionali o la tutela dei lavoratori dal rischio amianto. Sono stato nel partito 12 anni, candidato quattro volte, parlamentare da due anni e mezzo, ho fatto tantissime proposte: ma quasi nulla della mia attività è finito sul sito del partito. Qualcosa non quaglia».
Lei è stato accusato di essersi venduto per coprire un debito di 200mila euro.
«Sono allibito dal fango che mi gettano addosso».
Facciamo chiarezza?
«Nel 1994 presiedevo una cooperativa per costruire un poliambulatorio a Terme Vigliatore, il mio paese nel Messinese. Un amico ingegnere preparò una bozza. Non arrivammo nemmeno al progetto definitivo, ma mi sono trovato addosso una denuncia. All’inizio non ci ho dato peso».
In secondo grado è stato condannato a versare quella somma.
«Condanna ingiusta, non pagherò mai. In un paese di 1500 anime questo signore ha 30 contenziosi analoghi. Perché Di Pietro, che denuncia tutti, non si è preso in carico questa vicenda? Doveva difendere me e le altre decine di vittime di questa persona scorretta. Personaggi in vista del partito conoscevano perfettamente come stanno le cose».
Non ha problemi di soldi?
«Faccio la libera professione medica da trent’anni. Al partito non ho mai creato problemi. La precedente segreteria regionale mi doveva 11mila euro per lo sfratto della segreteria provinciale di Messina: ho pagato di tasca mia e sono stato zitto. In tre anni e mezzo da segretario provinciale ho ricevuto appena 2mila euro come contributo dal partito. In Parlamento ho fatto 29 proposte di legge, 140 interrogazioni, 550 comunicati stampa, 300 conferenze in tutta Italia che giro a spese mie senza mai chiedere rimborsi: come fanno a dire che mi vendo? Sono infamie gratuite e volgari».
Di Pietro ha denunciato in procura la compravendita dei parlamentari.
«Chi pensa possa accadere vuol dire che è abituato a farlo».
Fatto sta che ha lei lasciato il partito alla vigilia della fiducia.
«Non avevo intenzione di andarmene finché non è successo un fatto gravissimo. Lunedì pomeriggio il capogruppo Massimo Donadi mi telefona per dirmi che aveva già concordato con il Pd e Repubblica una campagna per denigrarmi. “Nemmeno la tua famiglia ti riconoscerà più, ti giuro che userò tutti i mezzi legali”, mi ha detto. Non potevo più restare, devo difendere i miei cari e mettere in guardia il popolo italiano».
Donadi le ha aperto gli occhi?
«Credevo di militare in un partito che voleva migliorare l’Italia e mi accorgo invece che vigono sistemi sovietici: delegittimazione, dossieraggio, mascalzonaggini».
Che cosa dirà martedì in aula?
«Sto ancora meditando sul discorso. È una riflessione sofferta».
Ma darà la fiducia al governo?
«Mi assumerò le mie responsabilità con un voto chiaro perché gli italiani devono sapere. Farò la scelta giusta, sono sicuro che il Signore mi illuminerà. Sarà un mea culpa. Dirò che ho sbagliato, che quanto pensavo non corrisponde a realtà».
Seguirà l’esempio di Gianfranco Fini, che ha abbandonato Berlusconi dopo 16 anni?
«Con la differenza che Fini viene apprezzato, mentre io sono un voltagabbana e un giuda. Vede com’è strana la vita».
Anche Berlusconi ha tacciato i finiani di tradimento.
«Ma la campagna scatenata da Di Pietro è basata sul nulla. Dossier su vicende personali che non c’entrano con la politica. Chi mi ripagherà il danno morale profondissimo che mi creano? La lingua uccide più del coltello.
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