Scudo fiscale, forse già oggi la firma di Napolitano

RomaCoppola calata in testa, sigaro che penzola dalle labbra, un cartello tra le mani: «La mafia ringrazia». Ma non basterà Antonio Di Pietro, nella riuscita imitazione di un padrino-sandwich, a far cambiare idea a Giorgio Napolitano. E nemmeno l’attacco di Gianni De Magistris, che lo accusa di non essere «vicino ai servitori dello Stato», lo convincerà a bloccare lo scudo fiscale. Sul provvedimento, com’è noto, il presidente ha molte perplessità. Però lo firmerà, essenzialmente per due motivi. Primo: dalla nuova normativa, su sua richiesta, sono stati esclusi i processi in corso. Secondo: il decreto assicurerà al governo quel certo «margine di manovra» economico che servirà per il rinnovo del contratto del pubblico impiego.
Dunque lo firmerà. Prima però gli deve arrivare. Doveva essere approvato in via definitiva ieri alle 15, poi Gianfranco Fini ha deciso di concedere un giorno in più alle opposizioni. Ma se il dibattito non si concluderà entro le 13 di oggi, il presidente della Camera farà scattare la «ghigliottina parlamentare» e metterà ai voti il testo. I tempi restano strettissimi: il decreto scade il 3 ottobre, cioè domani, e Napolitano è partito nel pomeriggio di ieri per un viaggio ufficiale di tre giorni in Basilicata. Così è costretto a farsi spedire il testo: glielo porteranno domani dopo l’approvazione i motociclisti di Montecitorio. A quel punto il capo dello Stato si prenderà presumibilmente dodici ore per esaminarlo. La sigla, con il via libera definitivo, arriverà quindi tra stasera e domani mattina.
Sul sì quirinalizio, visti i numerosi contatti informali, le trattative delle ultime settimane e lo studio accurato fatto dall’ufficio giuridico del Colle, non dovrebbero proprio esserci sorprese. Non è ancora chiaro invece se il presidente accompagnerà la firma a un documento di spiegazioni, se chiederà ulteriori chiarimenti scritti al governo, o se si limiterà a rendere noto il suo pensiero a voce, parlando con la stampa a Matera o a Potenza. «Il capo dello Stato - dicono al Quirinale - motiva sempre i suoi atti e le sue scelte». Resta da vedere se metterà nero su bianco le sue osservazioni o se preferirà una via più informale e di basso profilo, come una risposta durante una conferenza stampa.
Comunque sia, l’«estremo, ultimo appello» lanciato da Di Pietro è destinato a restare inascoltato. Dopo le correzioni del governo, sono infatti caduti i dubbi di costituzionalità del provvedimento. A Napolitano probabilmente l’idea in generale dello scudo fiscale non piace, però nella valutazione complessiva hanno prevalso altre motivazioni. Innanzitutto l’esigenza di non creare confusione, bloccando gli effetti positivi che il decreto sta già producendo. E poi c’è un discorso più strettamente finanziario: i quattro miliardi e mezzo che la sanatoria dovrebbe riportare nelle casse dello Stato potrebbero essere utilizzati per i contratti o per investimenti nel Mezzogiorno.

Dal punto di vista politico, il capo dello Stato ha già messo in bilancio altre esuberanze dipietriste, che punta ad apparire come l’unico vero oppositore del Cavaliere. I rapporti tra Quirinale e Idv sono pessimi ma di questo Napolitano non sembra proprio preoccupato.

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