La scure di Citigroup pronta a tagliare 45mila dipendenti

da Milano

La crisi dei mutui subprime bussa forte alla porta dei dipendenti di Citigroup, i cui bilanci nel terzo trimestre si sono macchiati con il rosso delle perdite. Migliaia di lettere di licenziamento sono pronte ad arrivare a destinazione: saranno 17mila, nella migliore delle ipotesi; addirittura 45mila, se la cura dovrà essere ancora più dolorosa.
All’inizio di novembre, la decapitazione del presidente Charles Prince aveva aperto la resa dei conti. Citi aveva bisogno di recuperare credibilità, dopo i disastri combinati speculando nel settore dei prestiti a rischio di insolvenza. La fiducia di buona parte degli azionisti era per la verità già venuta meno in tempi non sospetti, davanti ai poco lusinghieri risultati borsistici. Una vera disdetta per quello che è il primo istituto al mondo per capitalizzazione. Così, già nell’aprile scorso, il gruppo aveva annunciato l’intenzione di sfoltire gli organici di 17mila unità, il 5% di una forza lavoro composta complessivamente da 300mila dipendenti. Ma il ciclone che si è abbattuto a partire dalla scorsa estate ha costretto Citigroup a correre di nuovo ai ripari. Con un piano di ristrutturazione che potrebbe rivelarsi davvero pesante se risulteranno confermate le indiscrezioni sulla riduzione del personale riportate ieri dal network Cnbc. In risposta, la banca Usa si è limitata a precisare che le cifre sul numero dei licenziamenti «non sono reali» e che si stanno «esplorando altre strade» in attesa della nomina del nuovo numero uno. Dopo la defenestrazione di Prince, la presidenza è stata temporaneamente affidata a Robert Rubin, ex segretario al Tesoro Usa durante l’amministrazione Clinton, nonché già presidente del comitato esecutivo della stessa Citigroup.
Un altro ex titolare del Tesoro, Larry Summers, non è sembrato peraltro molto ottimista sulla situazione congiunturale statunitense: una recessione, ha detto ieri, «è probabile» ed è difficile pensare di non arrivare «a un rallentamento della spesa al consumo». Anche la Fed non vede miglioramenti nel mercato monetario, la principale spia del malessere del settore creditizio: l’istituto guidato da Ben Bernanke ha annunciato che immetterà anche nel 2008 liquidità extra, ma già a partire da questa settimana saranno varate misure straordinarie per stemperare le tensioni sui Fed Fund.
Secondo un’analisi di Citigroup, le banche centrali non hanno alternative: per far fronte al rallentamento economico, i tassi dovranno essere tagliati. Curiosamente, la banca omette di includere anche le turbolenze generate dai mutui subprime tra le cause della decelerazione, individuate nel caro-greggio, nella continua caduta del dollaro e nella crisi del mattone. In particolare, gli esperti di Citi prevedono che la Fed ridurrà di un punto percentuale il costo del denaro nel corso dei prossimi mesi, mentre quelli di Deutsche Bank sono convinti che già in dicembre Bernanke muoverà al ribasso i tassi (attualmente al 4,50%).
Sulla situazione economica è tornato ieri a soffermarsi anche il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Le possibilità di una decelerazione di Eurolandia sono aumentate nel corso degli mesi, anche perché le banche europee non paiono immuni dal virus subprime. Hsbc, stando alle valutazioni di Goldman Sachs, potrebbe essere il primo istituto del Vecchio continente a dover ricorre a ulteriori accantonamenti per 12 miliardi di dollari per coprire le possibili perdite derivanti dalla crisi dei mutui Usa.

Una crisi, ha detto Trichet, che pone dei rischi al ribasso per la crescita, mentre la correzione dei mercati è «un processo ancora in corso». Il banchiere francese ha quindi ribadito di non gradire «movimenti disordinati dei cambi», aggiungendo infine che la Bce non sta facendo pressioni per favorire l’uso internazionale dell’euro.

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