Se crescono i depressi non è colpa della crisi

Il male di vivere colpisce chi ha la pancia piena più che chi lotta per campare. È vero, la felicità è un lampo. Ma basta la sua luce per non arrendersi mai

Ci accorgiamo dell'importanza della salute soltanto quando l'abbiamo persa. Questo è scontato, un assioma, dicono quelli che si danno delle arie. Ma è un fatto che la popolazione italiana stia meglio oggi che in passato: vive più a lungo, pertanto l'incidenza delle malattie aumenta. Ovvio, muoiono molti giovani, ma i vecchi muoiono tutti e prima di tirare le cuoia si ammalano, si aggravano e finalmente se ne vanno all'altro mondo. D'altronde l'unico modo per campare tanto è diventare bacucchi. Non c'è alternativa.

Detto questo a mo' di incipit, veniamo alla notizia diffusa dall'Istat, che in materia di statistiche ha una discreta fama. Eccola. Complessivamente, gli italiani se la cavano: hanno un buon fisico, resistente, e sono abbastanza longevi. Però un segnale negativo emerge dal panorama positivo. Attenzione. Il nostro corpo in genere non è messo male, dal collo in giù: il problema è la testa. Sono in aumento le depressioni, che registrano un incremento pari a un punto virgola sei rispetto a otto anni orsono. Perché?

L'Istat indica fra le cause principali la crisi economica mondiale e nazionale, in particolare. Alla quale si associa un senso d'insicurezza nei cittadini, sempre più timorosi di non farcela a tirare avanti. Nel dettaglio: è calato il potere di acquisto delle paghe, i beni immobili si deprezzano a ritmo vertiginoso, l'occupazione si comprime, la precarietà è l'unica cosa stabile, il presente è incerto, figuriamoci il futuro. È fatale che la gente sia poco serena e si chiuda in se stessa e non sia soddisfatta. Ma siamo sicuri che la depressione, vera e propria malattia che definirei organica, sia dovuta alla miseria avanzante? Personalmente la penso diversamente, ma non date troppo peso alle mie trascurabili opinioni.

Sono persuaso che sia il benessere a incrementare quelli che un tempo erano definiti esaurimenti nervosi, cui si attribuivano i comportamenti umani tesi a manifestare scontentezza, noia, desiderio di andare al Creatore. In effetti il nostro Paese, per quanto in difficoltà, è tra i meno inclini in Europa a lasciarsi andare alla disperazione. Il primato dei suicidi non è roba nostra, ma delle nazioni in cui il livello economico è alto: per esempio, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia. I cristiani, sulla scorta di queste constatazioni numeriche, più hanno la pancia piena, peggio stanno e più desiderano crepare. In altri termini, occorre precisare che - crisi o non crisi, tasse o non tasse, Equitalia o non Equitalia - gli italiani nel Vecchio Continente sono quelli meno portati a togliersi la vita.

Si vede che la miseria non ha conseguenze letali, anzi, spinge a tener duro, forse alimenta la fiducia nel destino. Gli affamati hanno un obiettivo assai concreto: sfamarsi e godere dei piaceri basici, mentre chi è sazio e privo di tribolazioni si abbandona alla tristezza, si convince dell'insensatezza del vivere. Eccolo. Costui è il depresso. I depressi sono parecchi (2 milioni e 600mila). Alcuni di essi meditano il suicidio per anni e anni e spesso lo praticano. Vanno capiti e non giudicati: nel loro animo si agitano sentimenti contrastanti. Essi sono delusi di se stessi più che del mondo che li ospita come estranei se non nemici.

La mattina non hanno la forza di alzarsi dal letto. Anche solo affrontare la doccia è per loro una fatica insopportabile. Non gradiscono il cibo. Se ne fregano dei Mondiali di calcio. Ignorano l'amore. Non sanno cosa sia il tumulto del cuore. Non trovano negli occhi di una donna (o di un uomo) un motivo per gioire. La compagnia di altri individui li spaventa. Non leggono. Non guardano la tivù. La loro principale attività consiste nell'osservare le crepe nell'intonaco del soffitto, dove identificano i mostri che si annidano nel loro cervello sofferente. La depressione è un gigantesco insetto che oscura i pensieri e li divora. Si può curare, e non è difficile guarire. A una condizione: chi ne patisce deve riconoscerla, la malattia. Una malattia come tutte le altre. Dilaga e si impadronisce di te se non disponi dei cosiddetti anticorpi. E chi te li regala gli anticorpi? Lo psichiatra. Solo lui è in grado di darti una mano. Con i farmaci che ti ricaricano le batterie.

La guarigione non è rapida: minimo tre mesi, talora sei. Poi ti riprendi, lentamente, ma ti riprendi. Soprattutto, se hai una ricaduta, riconosci immediatamente l'insetto gigantesco che pretende di sbranarti e impari a difenderti. Se non t'impegni nella battaglia contro di lui, il mostro, rischi l'annientamento. La depressione è subdola. S'insinua nel tuo petto e ti consuma la speranza: o la combatti col sorriso o ti distrugge. C'è chi si lancia dal quarto piano. C'è chi si spara e chi si annega. Ragazzi miei non soccombete alla razionalità. Sappiate che il depresso è lucido e realista, vede il mondo orrendo come in effetti è e progetta di fuggire. Fuggire dove? Nell'oltretomba? Non ne vale la pena.

Dobbiamo scontare la condanna di vivere. Non siate vigliacchi.

Affrontate la pena. La felicità è un lampo che raramente illumina il nostro percorso, ma è sufficiente a incoraggiare il nostro cammino. In attesa della folgore - che appaga e rischiara - accettiamo di pagare il fio. Merita.

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