Se la Erg è il pronto soccorso di una Genova irriconoscente

(...) alla famiglia - anzi alle famiglie, visto che vanno di pari passo il ramo Garrone e il ramo Mondini - non si può non notare come ormai il marchio Erg sia una sorta di pronto soccorso per la Genova in sofferenza, un toccasana per una città che soffre. Ma non si rassegna.
Il caso della Sampdoria è noto, l’impegno della famiglia è storia, la sponsorizzazione Erg è la ciliegina. Ma anche su questo c’è un piccolo particolare, estremamente significativo, come spesso accade ai piccoli particolari. Penso al logo «Erg mobile» - la compagnia telefonica virtuale che va di pari passo con i pieni di benzina alle pompe Erg e ha ottenuto i risultati di adesioni previste (70mila schede sim vendute), ma non ancora quelli di traffico telefonico sognati dalla società - che campeggia quest’anno sulle maglie, dopo quello «Erg» secco e quello «Erg diesel one». Un po’ Cassano, un po’ il primato, hanno dato molta visibilità alla Samp e quindi per la società sponsorizzatrice è una specie di manna dal cielo: visibilità alle stelle, ritorno della sponsorizzazione da misurare con i moltiplicatori, riprese televisive e fotografie sui giornali e su internet come se piovesse. Eppure, avrete notato che, a volte, capita che di quel marchio sparisca ogni traccia nelle riprese a mezzo busto. Sapete da cosa dipende? Dal fatto che, posti di fronte al bivio fra la rinuncia alle strisce tradizionali blucerchiate al posto classico e storico e un marchio più basso, gli uomini della Erg hanno scelto la seconda opzione. Rinunciando implicitamente a un pizzico di visibilità. In nome della tradizione.
Piccola storia che, però, in qualche modo, è una cartina di tornasole sulle persone con cui abbiamo a che fare. Ancora nei giorni scorsi - parlando con il presidente di Erg Edoardo Garrone, con l’amministratore delegato Alessandro Garrone, con il vicepresidente Giovanni Mondini - prima ancora che con manager di seconda e di terza generazione che hanno fatto addirittura meglio dei predecessori, mi sono trovato di fronte a manager profondamente innamorati della loro città. Per di più educati e perbene nel modo di porsi, il che non guasta e che, purtroppo, non è la normalità nel loro mondo.
Quindi, il Doria. Ma anche il Festival della Scienza, con cui ormai da anni la Erg ha firmato una specie di matrimonio, culminato lo scorso anno nelle celebrazioni per i settant’anni dell’azienda. Eppure, non è andata a finire che «passata la festa, gabbato lo santo». La festa è passata (anche quella dei bilanci che, quest’anno, risentono pesantemente della crisi, come tutti i bilanci), ma «lo santo» Erg è ancora uno dei quattro sponsor principali dell’edizione che andrà in scena dal 23 ottobre al primo novembre. In particolare, il colosso genovese dell’energia presenterà Piano siderale, un concerto realizzato appositamente per l’occasione da Stefano Bollani e una mostra sull’astronomia al Palazzo della Borsa di via Venti Settembre intitolata Beyond. Visions of Planetary Landscapes. E, anche se un po’ di italiano in più non avrebbe dato fastidio, si propone fin d’ora come uno degli eventi clou del Festival.
Mica finita. Insieme ad un piccolo nucleo di altre aziende genovesi, Erg ha firmato anche la salvezza del teatro dell’Archivolto, il coraggioso tentativo di coniugare qualità e numero di spettatori (l’esatto contrario del teatro assistito che si inebria per il numero minimo di biglietti staccati, tanto per capirci) e la vitalità della cultura in una zona come Sampierdarena. Insomma, praticamente una definizione di cultura elevata al quadrato. Dal teatro Modena è partito l’Sos e da via De Marini, sede centrale dell’azienda, a poche centinaia di metri di distanza, quell’allarme è stato raccolto.
Chapeau, anche in quest’occasione al quadrato. Perchè è dura continuare a raccogliere gli Sos quando mai o quasi mai sono seguiti da un «grazie» della città. Il Carlo Felice è la punta di un iceberg, ma anche altri esempi come la Fondazione Edoardo Garrone, con i suoi benemeriti Lunedì Feg con gli incontri con gli autori o le mostre d’arte dedicate in particolare ai giovani (meno alcune delle lezioni sulla Costituzione, ai confini del soporifero), è sulla stessa buona strada: un regalo alla città che nemmeno se ne accorge. O, peggio, fa finta di non accorgersene.
In tutto questo, si dovrebbe parlare anche di bilanci, di rigassificatori, di mercato del petrolio e di downstream, che tradotto sono le pompe di benzina e i distributori. Tutta roba importantissima e interessantissima, per carità. Potete leggere numeri e particolari anche nelle pagine dell’economia.
Ma qui mi piace soffermarmi su un altro aspetto che emerge dai bilanci della Erg. Ed è l’attenzione a quella cosa che si chiama «sviluppo sostenibile». E anche qui nasce in un contesto particolare: maneggiare gas, petrolio, raffinerie e montare megaimpianti di energia, non è per definizione un’attività ambientalista. Anzi.
Eppure, a partire dall’attenzione alle fonti rinnovabili, dall’eolico al solare, Alessandro ed Edoardo Garrone mettono l’accento sulla possibilità di coniugare energia e rispetto dell’ambiente. Nel piano dell’energia prodotta dal vento, fra l’altro, c’è anche uno spazietto per la Liguria e, per la precisione, per un posto in provincia di Savona che si chiama Pian dei Corsi, dove una centrale eolica già in esercizio produce 1,6 megawatt di energia. Intendiamoci, non sono numeroni (in Calabria è in costruzione una centrale da 100 MW), però la bandierina dell’eolico anche in Liguria è comunque un segnale significativo.
E poi ci sono mille piccoli particolari. Anche stavolta molto importanti, come lo sono sempre i piccoli particolari: ad esempio, la neutralizzazione del livello di CO2 prodotta stampando i libretti sugli impegni ambientali di Erg, investendo in un progetto per sostituire fornelli alimentati a legna e rifiuti in Kenya, quanto di più inquinante esistente in natura, con nuovi fornelli alimentati a biogas. È chiaro che non è con questo intervento che si salverà il mondo, ma è anche chiaro che è non facendo interventi come questi che si contribuisce a ucciderlo.
Oppure, il progetto per il miglioramento dei processi di gestione documentale, nato proprio dalle menti genovesi e da una sensibilità tutta particolare: mettendo in rete i bilanci, l’azienda ridurrà di circa il 20 per cento la produzione di stampe, con ottimi risparmi di carta, di toner e di energia. E anche qui non ci troviamo di fronte all’invenzione del secolo che salverà il mondo. Però, partendo dalla riduzione dell’uso di stampanti e fotocopiatrici, si è comunque sulla buona strada per altri risultati in ricerca e sviluppo, nuova frontiera aziendale.
Certo, poi, di fronte a tutto questo, c’è l’Italia. E anche qui Edoardo e Alessandro firmano posizioni coraggiose. Non da imprenditori pronti a mandar giù tutto pur di salvaguardare i propri affari, ma da manager immersi nel mondo. È proprio da questo punto che bisogna partire per raccontare le incredibili difficoltà per far partire i gassificatori (uno sarà a Priolo, in Sicilia). Per partire di slancio con idee come l’impianto di stoccaggio di gas nel sottosuolo a Rivara nel modenese. O per descrivere le innovazioni tecnologiche o occupazionali che si scontrano ogni giorno contro la sindrome di Nimby, contro i partiti del no, contro l’incubo dei comitati di ogni settore comitabile che spesso attraversano gli schieramenti politici in modo drammaticamente bipartisan e che sempre bloccano lo sviluppo. Talvolta ottenendo effetti ambientali contrari a quelli sperati, magari anche in buona fede. «Evidentemente - commentano amaramente e all’unisono i due fratelli - è un problema della pancia del Paese».
E questo mal di pancia rischia di bloccare per sempre il sogno nucleare. «Se si farà, pensiamo sarà nel lunghissimo periodo» spiegano, facendo capire di credere moltissimo nella ricerca nucleare e meno nelle centrali a breve termine.

E spiegando che ogni scelta aziendale di Erg in materia è assolutamente prematura: «Per troppi anni è stato demonizzato il nucleare ed è stata cavalcata la tigre di Chernobyl. Se per fare un termovalorizzatore c’è voluto l’esercito, cosa servirà per un impianto nucleare? L’intervento della Nato?».
È la domanda delle domande. E, forse, mette più paura delle centrali.

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