«Se Fiat tiene duro può cambiare l’Italia»

Un contratto solo per l’auto: all’indomani del clamoroso annuncio dell’uscita, sia pure temporanea, da Confindustria della newco Fiat-Chrysler per Mirafiori, si riapre la discussione. Domani si riuniranno le segreterie generali di Fiom, Fim e Uilm, mentre il confronto tra Federmeccanica e sindacati potrebbe ripartire giovedì. A questo proposito Giuliano Cazzola, vice presidente PdL della commissione Lavoro della Camera, ha ipotizzato, a suo tempo, l’esistenza di un asse Confindustria-Cgil contrario al contratto del settore auto.
È per questo che Marchionne ha deciso di uscire dall’organizzazione, secondo lei?
«La Confindustria è sicuramente protagonista dell’attuale modello di relazioni industriali al pari dei sindacati. Quello nei confronti della Cgil è un grande amore deluso, sempre pronto a riaccendersi in ogni momento. Come altro si spiegherebbe l’inutile confronto in corso tra la Confindustria e le centrali sindacali se non con l’intenzione di Viale dell’Astronomia di recuperare la Cgil di Susanna Camusso? Non ha avuto dubbi la presidente Marcegaglia nel distinguere le responsabilità della sua organizzazione da quelle della Fiat. Anche se in cuor suo, da imprenditrice, sa che Marchionne ha ragione».
Sicuramente questa decisione influenzerà l’intero sistema delle relazioni industriali: che ne sarà di Confindustria?
«È la solita storia. Confindustria e sindacati sono uniti da un comune destino: simul stabunt, simul cadent. Se Sergio Marchionne andrà fino in fondo davvero, per la Confindustria e per i sindacati non sarà un passaggio indolore. La piccola impresa, che è in larghissima maggioranza, segue ormai regole sindacali tutte sue, allo scopo di sottrarsi ai vincoli di quelle ufficiali. Se anche le poche grandi imprese che sono rimaste decideranno di fare da sé, seguendo l’esempio della Fiat e rapportandosi direttamente ai lavoratori, tutto il baraccone delle relazioni industriali potrà chiudere per cessata attività».
La Fiom ha dichiarato «guerra totale a Marchionne». Ritiene possibile un aumento della conflittualità nelle fabbriche?
«La Fiom può mettere a ferro e a fuoco l’Italia, ma le sue saranno sempre delle vittorie di Pirro, perché non ha dalla sua un piano B come la Fiat. Il gruppo automobilistico ha una possibilità che il sindacato e i lavoratori non hanno: andarsene all’estero. Ci sono tanti Paesi, per fortuna, che non mettono in mano un’organizzazione sindacale tanto potente come la Fiom a sindacalisti retrò come Maurizio Landini e compagni».
Come giudica invece l'atteggiamento di Cisl e Uil?
«Sono in difficoltà. Anche il riformismo ha dei limiti e dei vincoli. Marchionne dovrebbe essere più cauto e non creare problemi insostenibili alle federazioni sindacali che insieme a lui hanno sottoscritto l’accordo di Pomigliano».
Come prevede che andrà a finire la partita?
«Se la Fiat tiene duro e vince, tante cose sono destinate a cambiare. Vede, la Fiat non è una controparte raffinata, ma le svolte sono sempre avvenute nei suoi stabilimenti. Fu così già nel lontano 1955, quando la Fiom fu sconfitta nelle elezioni di commissione interna e quel trauma determinò un radicale cambiamento di linea politica in senso riformista. Di nuovo nel 1980, dopo i 35 giorni di sciopero ad oltranza e la manifestazione di protesta dei quarantamila. Prima del vertice di New York avrei scommesso in una marcia indietro di Marchionne. Per fortuna mi sbagliavo.

Forse l’Italia può diventare un Paese in cui sono possibili dei grandi cambiamenti in campo sindacale. Se invece la Fiat capirà che la partita è persa, i suoi investimenti, da noi, diventeranno residuali. In questa battaglia può esserci un solo vincitore: il Paese».

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