Il «nuovo» Tremonti da un lato rassicura, dall’altro lascia un po’ perplessi. È infatti senza dubbio confortante sapere che delle finanze traballanti come quelle italiane siano governate da una persona a cui tutti gli addetti ai lavori riconoscono competenza, genialità e ampiezza di visione. D’altra parte invece ci sono alcuni intenti che si prestano a riflessioni più caute. Parlare di «Robin Hood tax» e di tasse «etiche» sui cosiddetti stipendi d’oro sottintende un’idea che ha due facce, delle quali una è opposta al comune sentire di molti degli elettori del centrodestra. Se da un lato tali ragionamenti ben si conciliano con un mercato meno globalizzato, quale è quello che il ministro dell’Economia auspica nel suo ultimo libro La paura e la speranza, dall’altro non si può ignorare come al momento la concorrenza sia un fattore ben presente, aiutato da frontiere tuttora molto permeabili per persone e capitali.
La foresta di Sherwood ospitava un sentiero che era passaggio obbligato di transito fra contee adiacenti, così il ricco e disonesto barone non aveva altra scelta che correre il rischio di incappare in un agguato di Robin Hood, che poteva così distribuire il bottino ai poveri, oppressi da tasse irragionevoli. Visto così il conto torna e, non per niente, Robin, pur essendo un ladro, viene ricordato come un personaggio positivo e un eroe. Il problema nell’applicare questo schema ai giorni nostri è che non c’è solo la strada che passa per Sherwood, anzi, i sentieri sono infiniti e, in molti casi, si assicura un passaggio senza rischi, magari con confortevoli punti di ristoro lungo il tragitto. Il sentiero infestato da Robin Hood rischia di rimanere desolatamente deserto, e anche i poveri oppressi finirebbero col dirgli di smetterla, perché anche senza rapinarlo il barone di passaggio almeno ogni tanto comprava qualcosa.
È possibile percepire gli effetti delle politiche fiscalmente punitive attraversando l’ultima vera frontiera italiana, vale a dire quella con la Svizzera: il gap fra la Lombardia e il Canton Ticino era andato assottigliandosi nei primi anni Duemila, anche grazie all’intuizione dello stesso Tremonti che lanciò con successo lo scudo fiscale; sono bastati due anni di Visco con conseguente fuga di capitali che si sentivano minacciati (non tanto come evasione, ma in quanto semplice «ricchezza»), per spalancare una forbice a favore di Lugano che ora è immediatamente avvertibile. Basta una passeggiata sul lungolago.
Non appare un caso poi che la crociata contro gli stipendi d’oro (che, non dimentichiamolo, saranno anche d’oro ma almeno sono dichiarati e già abbondantemente tassati) sia stata lanciata all’Eurogruppo da Juncker, presidente di uno degli stati fiscalmente più accoglienti dell’Unione europea: il Lussemburgo, che probabilmente avrebbe tutto da guadagnare con eurotasse sui «ricchi». Quello di cui l’Italia ha bisogno è un ambiente stabile ed accogliente per poter attrarre capitali e sfruttare la nostra funzione naturale di ponte fra il petrolio del Medio oriente e le industrie tedesche.
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