Se la tigella con la «s» sembra più condita

Non c’è più nulla da fare: siamo diventati schiavi di una terminologia aberrante. In pratica: se qualcuno al telefono vi chiede di schedulare un appuntamento, capite che la situazione diventa grave, soprattutto se la stessa persona aggiunge che metterà il tutto nei tudù, che non è una tribù dell’Africa ma semplicemente la lista delle cose da fare che una volta si appendeva sul frigorifero di casa. Solo che il tudù (ovvero dall’inglese to do), fa tremendamente moderno. E allora via così, e spulciando tra una serie di offerte di lavoro ditemi voi cosa faranno le seguenti persone: account executive, account manager, communications associate, content partner manager, enterprise applications sales manager, enterprise search sales engineer, senior policy manager, syndication partnerships, strategic partner manager. E soprattutto perché - detti così - sembrano tutti impieghi da stipendio di giada, ma poi alla fine al 27 del mese c’è sempre il trucco.
Pazienza comunque, il mondo si sta forwardando (giuro, sentita anche questa), anche se a tutto però c’è un limite. Ovvero passare davanti a un negozio di quelli molto trendy (già) e leggere «Tigella’s, la tradizione italiana». Diciamolo, anzi gridiamolo: se è «Tigella’s», non è «tradizione italiana».

È solo una contraddizione in termini. Ma chissà che anche dietro quelle piccole focacce di origine emiliana, non si nasconda un washing dish manager. Una volta, quando la tigella non aveva la «s», si chiamava lavapiatti.

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