Se viaggiare fa rima con sfogliare

Vacanza, viaggio, turismo. Magiche parole che scaldano il cuore anche ai più cinici. E tuttavia non esiste nulla di più soggettivo del viaggio, qualsiasi siano meta e scopo.
Si può viaggiare lentamente, come suggerisce Gaia de Pascale nel suo Slow Travel (Ponte alle Grazie, pagg. 160, euro 12). Manuale di turismo poetico per il recupero di un viaggio «verticale», contiene innumerevoli consigli per esplorare a piedi o in bicicletta, evitando di consumare i luoghi come patatine.
Si può viaggiare con ironia, consci che basta uscire di casa perché ne accadano di tutti i colori. Le peggiori disavventure le ha raccolte Dan Kieran (quello di Cento lavori orrendi) in Cinquanta vacanze orrende (Einaudi, pagg. 160, euro 10,80), trad. Chiara Stangalino, in uscita a marzo). Cibi immangiabili, malattie esotiche, uragani e scottature: inferni che trasformano sogno di relax nel peggiore degli incubi.
Si può viaggiare con una meta precisa: New York. Per fare shopping a prezzi stracciati o perché si aspettano gli States da una vita. E scoprire, grazie a Come sopravvivere ai newyorchesi (Cooper, pagg. 120, euro 9) tutti i bachi della Grande Mela: vietato guidare l’auto, topi e scarafaggi ovunque e un incomparabile snobismo verso gli strangers. Garantito da Tiziana Nenezic, italiana che a NYC ha vissuto 15 anni.


Si può infine viaggiare e investigare, come ha fatto l’ambientalista Leo Hickmann con Ultima chiamata (Ponte alle Grazie, pagg. 438, euro 18,60, trad. Francesco Zago) che ci racconta quanto costa al pianeta l’industria del turismo.

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