Se vince il sì regole migliori, non il Far West

Antonio Del Pennino*

Più si avvicina la scadenza del 12 e 13 giugno, più appare chiaro che i referendum sulla legge relativa alla procreazione medicalmente assistita non riguardano lo scontro tra centrodestra e centrosinistra. Lo testimoniano prese di posizioni a favore del sì di personalità come Fini, Martino, Biondi, e la Prestigiacomo e gli annunci di volersi astenere o di votare no fatti da Rutelli, Marini, De Mita, e dalla Bindi.
Il tema va dunque affrontato al di fuori della logica degli schieramenti politici e cercando di sfuggire, da un lato all'evocazione di inesistenti pericoli di derive eugenetiche, la cui strumentalità ha egregiamente evidenziato Massimo Teodori su Il Giornale, dall'altro dalla demonizzazione degli oppositori del referendum quali «oscurantisti» e nemici del progresso. Va piuttosto fatto uno sforzo per approfondire il merito dei quesiti referendari, in modo che ogni cittadino-elettore possa formarsi un motivato giudizio.
Per parte mia cercherò di illustrare cosa comporterebbe una vittoria dei sì ai referendum. Innanzitutto nessun vuoto legislativo, perché, come ha ricordato la Corte costituzionale ammettendo i referendum, i quesiti riguardano «aspetti specifici della disciplina della procreazione medicalmente assistita che rientrano nella discrezionalità legislativa, cosicché la loro abrogazione non comporta il venir meno di una tutela costituzionalmente necessaria», e la normativa risultante dopo l'eventuale abrogazione «non presenta elementi di contraddittorietà».
Infatti, dei 21 divieti, sanzionati penalmente o amministrativamente dalla legge 40, ne rimarrebbero in vigore ben 16, e in particolare, tra gli altri, quelli relativi al divieto di clonazione riproduttiva; di soppressione degli embrioni; di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti; di uteri in affitto; di commercializzazione di gameti o di embrioni; di produzione di embrioni umani a fini di ricerca; di fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa. Inoltre si manterrebbero tutte le procedure per le autorizzazioni e i controlli sui centri deputati a praticare la fecondazione assistita. Quindi nessun Far West.
Con la vittoria dei sì verrebbe solo consentito l'accesso alle pratiche di fecondazione medicalmente assistita, oltre che alle coppie sterili, anche a quelle portatrici di malattie genetiche trasmissibili al concepito e sarebbe permessa la diagnosi pre-impianto, per evitare il successivo ricorso all'aborto. Verrebbe, poi, affidata al medico, e non imposta per legge, la definizione del numero degli embrioni da produrre e poi impiantare in utero.
La vittoria dei sì renderebbe altresì possibile la ricerca scientifica sugli embrioni «sovrannumerari», cioè quelli già prodotti e non più utilizzabili per l'impianto, che verrebbero altrimenti destinati a sicura distruzione. E si autorizzerebbe la creazione di cellule staminali embrionali col metodo del trasferimento di nucleo, un metodo che la commissione nominata dall'allora ministro della Salute Veronesi, presieduta dal premio Nobel Dulbecco, di cui facevano parte, fra gli altri, il cardinal Tonini e l'ex ministro della Salute Sirchia, giudicò, all'unanimità, «esente da problemi etici».


In conclusione ritengo che la vittoria del sì consentirebbe di garantire meglio la salute delle madri e dei nascituri e di aprire nuove prospettive alla ricerca scientifica in ambito medico nel nostro Paese.
* Senatore del Pri e presidente
del Comitato promotore dei referendum

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