Un secolo di Giro d’Italia

L’anno prossimo compirà cento anni. Eppure non è affatto relegato a vecchio arnese della mitologia sportiva. Anche perché, a celebrarlo, nell’ultimo mezzo secolo ci ha pensato la migliore narrativa nostrana. Tra i primi a occuparsi del Giro d’Italia è Achille Campanile. Corre l’anno 1932: bicicletta, taccuino e un immaginario Battista sono i compagni del tour nel Belpaese, ora riproposto per le edizioni della Vita Felice (Battista al giro d’Italia, pagg. 249, euro 12,50). Ne viene fuori un Viaggio in Italia molto simile a quello di Guido Piovene, anche se più leve e rarefatto.
Più recenti ma dello stesso calibro sono le due cronache di Vasco Pratolini, seguace sfegatato del Giro e dei suoi miti. L’autore del Metello pedala sulle orme dei «campeones» per ben due volte. La prima, nel maggio del 1947 (Cronache dal giro d’Italia, Otto/Novecento, pagg. 93, euro 12), quando scrive di un Gino Bartali-Buffalo Bill e di un Fausto Coppi lanciatore di coltelli. La seconda, nella primavera del 1955 (Al giro d’Italia, La Vita Felice, pagg. 143, euro 9,50), quando racconta una storia tutta in soggettiva, in cui amarcord e vissuto diventano l’istantanea di un’Italia sportiva che non c’è più.
A quella recente e ad uno dei suoi più drammatici protagonisti è invece dedicato il saggio di Tonina Pantani ed Enzo Vicennati. Era mio figlio (Mondadori, pagg.

286, euro 16,50), oltre che lo sfogo di una madre rimasta sola con il proprio lutto, è un impietoso atto di accusa verso uno sport che forse andrebbe riformato. Restituendolo al clima raccontato da Campanile e Pratolini, così come ai fasti delle «eterne sfide» di cinquant’anni fa.

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