da Roma
«Mi rammarico che lopposizione abbia votato contro un provvedimento che, sulle misure antimafia, era stato proposto da Giovanni Falcone». Commentava così a fine seduta, ieri al Senato, il ministro dellInterno Roberto Maroni. Amarezza nonostante la prima vittoria netta della maggioranza (166 a 123). Vittoria per quarantatré voti in quella stessa aula che aveva fatto soffrire i patemi danimo a Romano Prodi e ai suoi ministri fino alla scorsa primavera, quando si chiamava a casa la centenaria Levi Montalcini per pregarla di accorrere al voto. Oggi è tutto un altro film. Eppure Maroni ha centrato un dato politico: lopposizione, Udc compresa, ha detto «no» a un decreto sicurezza composto di 13 articoli su molti dei quali cera laccordo, in particolare sul giro di vite contro i mafiosi, ma anche contro gli ubriachi alla guida e contro i clandestini che si fanno beffe dei poliziotti dando false generalità. Lhanno chiamata la fine del dialogo tra Pdl e Pd, ma a ben guardare è stato un solo articolo ad aver fatto alzare le barricate: quello che prevede la sospensione dei processi per reati minori che riguardano fatti commessi prima del 30 giugno 2002: la norma subito ribattezzata «salvapremier», lemendamento su cui lItalia dei valori ha promesso «un durissimo ostruzionismo» alla Camera con «manifestazioni di piazza». Ieri i dipietristi hanno mostrato durante la seduta cartelli con la scritta «Anche se vi credete assolti siete coinvolti», citando De Andrè.
Ma lIdv ha sparato anche contro i teorici alleati del Pd. Circola lipotesi, per quanto smentita dalla maggioranza, che al passaggio della Camera la norma blocca-processi possa essere eliminata o cambiata per spianare la strada allimmunità per le più alte cariche dello Stato sulla linea dellex Lodo Schifani. LUdc sarebbe daccordo. E il Pd che farà?
Di Pietro ha minacciato in modo serio: «Con il Pd si pone un problema gravissimo di alleanze. LIdv ha chiesto agli elettori di essere votata per essere alternativa a Berlusconi.
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