La sentenza di Londra

Londra«Non siamo stupiti da questa decisione, tuttavia la consideriamo errata». Ha subito annunciato un ricorso Julian Assange, dopo che ieri la corte londinese di Belmarsh ha accolto la richiesta di estradizione presentata dalla Svezia contro il fondatore di Wikileaks.
Dopo essere riuscito a far trapelare i segreti di Stato relativi a mezzo mondo scatenando un vero e proprio 11 settembre diplomatico, Assange era stato arrestato lo scorso dicembre a Londra dove aveva ottenuto la libertà su cauzione in attesa di presentarsi di fronte ai giudici per discutere la richiesta di estradizione presentata contro di lui dalla Svezia. In questo Paese Assange è accusato di stupro da due donne, accuse per cui l’uomo si è sempre dichiarato del tutto innocente. I legali di Assange sostengono che dietro a tutto questo si nasconderebbe una macchinazione politica e che un eventuale processo svedese si rivelerebbe assolutamente ingiusto in primo luogo a causa della posizione ostile del governo nei confronti del giornalista-hacker che l’ha trasformato nel nemico numero Uno della nazione.
Dopo le feroci esternazioni del primo ministro svedese i difensori temono che una volta giunto in Svezia il Paese scandinavo possa in realtà consentire l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove il fondatore di Wikileaks rischia fino alla pena di morte per aver diffuso segreti di Stato. Se così fosse anche le porte di Guantanamo potrebbero aprirsi per lui.
Nonostante i legali dell’uomo abbiano fatto appello anche ad un’eventuale violazione dei diritti umani per combattere contro la richiesta di estradizione, il giudice Howard Riddle non ha voluto sentire ragioni ed ha accolto la richiesta del procuratore svedese Marianne Ny, con una dettagliatissima sentenza lunga 28 pagine che ha smontato pezzo per pezzo la linea della difesa.
Assange, che era presente nell’aula del tribunale ha ascoltato la sentenza impassibile e soltanto una volta fuori dal tribunale londinese ha commentato la decisione: «Non sono stupito, me lo aspettavo - ha detto - Cionondimeno è un verdetto ingiusto». E poi ha criticato con forza le procedure del mandato d’arresto europeo che di fatto l’hanno condotto in carcere. «Le regole devono assolutamente cambiare - ha dichiarato - non sono stato neppure incriminato eppure sono costretto a vivere agli arresti domiciliari con addosso un braccialetto elettronico».
Arresti a dirla tutta, particolarmente comodi dato che l’australiano risiede nella magione principesca di un suo amico e sostenitore molto più simile ad un castello che a una prigione. Assange è infatti un «paladino» della libertà d’informazione che vanta supporter e amici particolarmente facoltosi che finora l’hanno sempre aiutato con generosità. E mentre l’opinione pubblica è spaccata in due sul suo conto, lui da tutta questa vicenda non trae che guadagni. Un suo libro, a metà tra l’autobiografia e il manifesto, è in uscita in contemporanea mondiale e frutterà all’«uomo più pericoloso del mondo» fior di quattrini.
Intanto il capo del team di difesa Geoffrey Robertson ha già annunciato la presentazione di un ricorso entro i termini previsti dalla legge e anche un secondo ricorso alla Corte per i diritti dell’uomo e il caso potrebbe rimanere aperto ancora per mesi.

Secondo l’esperto in estradizione Michael Caplin «le probabilità di vincere in appello sono davvero poche», perché «rimangono davvero pochi elementi su cui trovare un appiglio».
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, per ora è stata soltanto aperta un’inchiesta nei confronti di Assange ma non esiste al momento alcuna incriminazione o richiesta di estradizione.

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