Sentite Mourinho: «Resterò all’Inter? Forse, dipende...»

nostro inviato

ad Appiano Gentile
Prove tecniche di conferenza stampa stile medioevo.
«Io arrabbiato? No, non sono arrabbiato. Sono orgoglioso. Orgoglioso di me».
Molto bene signor José Mourinho, è arrivato il momento di mostrare a tutti, ma proprio tutti, dove porta questo orgoglio, perché siamo a quattro giorni dal d-day e, sia chiaro, se l’Inter esce dall’Europa mercoledì non sarà colpa di qualcun altro. Giusto? L’idea che circola non è un’Inter eventualmente eliminata, ma Mourinho fuori dall’Europa. L’ha voluto Josè questo clima frizzantino e finora ha avuto sempre ragione, tolto a Genova mercoledì dove si è quasi azzerato l’eventualità di alzare una coppa. E Josè lo sa: «Quando la squadra sbaglia sono io che devo rispondere, sono io il responsabile. Ho cambiato molto con la Sampdoria? No, ma quando si cambiano tanti giocatori, si cambia la qualità della squadra. Non è solo un problema nostro. Io poi sono uno a cui piace cambiare, una volta sono arrivato con i capelli corti, ma mi stanno crescendo. Un’altra volta avevo la barba lunga. Adesso sono qui subito dopo aver finito l’allenamento e guardate: sono perfetto». Josè a volte abusa. Ma non riesce a farsi detestare. È come se dicesse: sto a prendervi tutti per i fondelli ma sono onesto, ve lo dico subito. E si prende a sberle in faccia, ma piano: guarda qui, sono perfetto.
Dicono che abbia perso serenità e sicurezza, non sembrerebbe proprio. Semmai bisognerebbe capire se l’ha tolta alla squadra, ma anche qui è abbastanza ermetico: «Non so se questo terremoto mediatico attorno al mio nome abbia creato un danno all’Inter a livello psicologico. Dovete essere voi a dare una risposta a questa domanda». Comunque ieri di Champions era proibito parlare, anche se ogni domanda ci girava attorno. Ci ha provato una collega giapponese che si è presa un rimbalzo da cinema muto, solo un sopracciglio di Josè che si è arcuato. E dire che lo 0-2 di Liverpool sembra più pesante dell’attuale 0-0 col Manchester, insomma numericamente il compito appare meno drammatico della scorsa stagione. A sfavore c’è l’emergenza centrali difensivi, Samuel e Chivu stanno ancora lavorando a parte e oggi col Genoa sono davanti al tv color nella speranza di recuperarli per l’Old Trafford. Contrattempo che preoccupa pensando all’Inter di coppa Italia. Ma anche qui Josè, dopo non aver concesso alcun merito all’avversario, ha voluto precisare: «La partita era in mano nostra, un episodio sbagliato di un giocatore non può inficiare la prova generale di una squadra».
Oggi comunque torna a Marassi con i pretoriani, Julio Cesar, Maicon, Santon, Cambiasso, Stankovic e Ibrahimovic, col Genoa non si può giocare e basta: «Una delle migliori squadre del campionato, ha un gioco che si adatta benissimo alle caratteristiche dei suoi uomini, attacca, è veloce, è in zona Uefa e aspira alla Champions, non è sotto pressione». L’Inter invece lo è, e non è detto che sia un male. Da quando è qui Mourinho ripete la necessità di mantenere la pressione al limite del sostenibile e sul fatto che ci stia riuscendo non ci sono dubbi.

E poi cosa fa, resta? «Ancora due anni, tre, quattro, dieci anni, dipende...». Da cosa? «Da tutto».
Dopo le prove tecniche di una conferenza stampa tipo medioevo non ti resta niente, più o meno come accade nelle altre diciannove sedi.

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