È una settimana lunga come un anno: mistero della fede

L'evento sempre uguale, ma dal fascino irresistibile. Ma è inutile fare gli snob, Capalbio è deserta, Sanremo denuncia il tutto esaurito, in sala e fuori

È una settimana lunga come un anno: mistero della fede

Sanremo - In attesa delle celebrazioni del Sessantotto vogliate gradire il Cinquantotto. Trattasi del festival della canzone italiana, in onda dal teatro Ariston di Sanremo. Tutto incominciò il 29 gennaio del Cinquantuno quando Little Tony era già nato e Giulio Andreotti già sedeva in Parlamento, nella qualità di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri guidato da Alcide De Gasperi. Chi avrebbe immaginato che venuti il Duemila, il telefono cellulare, il lettore mp3, internet, la tivvù digitale, il popolo italiano si sarebbe ancora mosso e commosso per quell’evento, comunque sempre con Giulio Andreotti presente e itinerante?

Eccoci dunque, Riviera dei fiori, sempre uguale a se stessa, alberghi di cartongesso, strade intasate, prezzi stellari, affabilità in dosi da albumina, vetrine allestite per la bisogna, cielo grigiastro, vento. Un mistero della fede più che della canzone cosiddetta leggera spesso assai pesante nelle melodie e nelle parole. Ma è inutile fare gli snob, Capalbio è deserta, Sanremo denuncia il tutto esaurito, in sala e fuori. Mistero della fede, dunque, non ci sono alternative, il festival raggruma ricchi e poveri, non nel senso del quartetto che fu, giovani e vecchi, mamme e figli, un bel dieci milioni e passa di italiani davanti al televisore da oggi a sabato, anche se le sere del Festival saranno cinque ma mercoledì, ciliegia classica sulla torta italiana, sua santità il calcio (e lo sponsor Sky), imporrà la legge del prime time e dunque artisti e affini riposeranno, prima i contanti poi i cantanti.

Evento misterioso perché mette assieme in ditta Baudo & Chiambretti che non ci azzeccano proprio, nei centimetri, nell’aplomb, nello spirito, nella storia, in tutto insomma, ma soprattutto perché riesce a coinvolgere addirittura, nei supplementari notturni detti dopofestival, Elio e le sue Storie Tese, cosa che tra un anno potrebbe portare a Sanremo anche Caruso e Agnoletto e, perché no?, Grillo e Luttazzi, non Lelio. Basta avere fede, appunto.

Un minestrone all’italiana con profumi vari, però si ha fame, però si apparecchia la tavola, però si tira fuori dall’armadio l’abito giusto, però si avvisano parenti e amici che si parte per la Riviera, chissà il sole, chissà la pacchia, chissà la musica. Eccolo dunque il mistero, Sanremo ha questo miele che attira le api e i serpenti, non importa chi canta, importa chi c’è, anche chi manca, come nell’album delle figurine. Forse, anzi sicuramente, è colpa della televisione e delle sue pozioni che portano all’assuefazione, perché da oggi è ricominciato il carnevale, sulle reti di Stato ma anche sulle private varie, trasmissioni collegate, spunti, dibattiti, un plastico totale che fa il giro delle chiese catodiche, tra vecchie glorie e qualche bocciato, deluso e velenoso. Non c’è niente da fare, una settimana lunga un anno: da domenica prossima Sanremo tornerà in soffitta, roba vecchia, anche ridicola ma poi, puntualmente se ne tornerà a parlare, a scrivere, a dire e pronosticare. Tutto previsto e prevedibile, anche la consueta, quotidiana attesa per conoscere i dati di ascolto che nel 1970 toccarono i 25 milioni di telespettatori (non ancora in vigore l’Auditel che entrò in scena nel 1987), ma che viaggiano sempre alti e strani, la concorrenza si è affievolita, già sapendo di avere vita dura.

Adesso ci sono anche gli scommettitori, adesso girano quattrini pesanti, i grandi della canzone stanno alla larga dalla sfida, si presentano come superospiti, non rischiano, cantano la lotta, la democrazia e la libertà ma ne temono le conseguenze.

Sanremo è pronta, come una vecchia attrice che si rifà il trucco, per lei si nutre rispetto al ricordo di tempi eroici e seducenti ma si sbircia altrove perché ormai la musica e i suoi interpreti e autori stanno dovunque, in radio e tivvù, sui telefonini e sui siti web. L’Ariston, in quanto teatro, resiste al logorio della vita moderna, da stasera occhio al palcoscenico e attenti alle prime file dove sfileranno le belle gioie di ieri e di oggi. Non so di domani.

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