In questi tempi difficili sembra andare di moda un nuovo gioco politico, quello di chi perde per primo. Un gioco che si consolida nel centrosinistra con l'improvvisa rottura Rutelli-Prodi che genera stupore (quello psichiatrico) e immobilismo nell'intera Unione, ma è da tempo presente anche nel centrodestra. Nella Casa delle libertà ci sono addirittura due campioni di questo nuovo gioco. Il primo è Marco Follini che ha trascorso l'ultimo anno a chiedere verifiche di governo senza far capire in realtà cosa volesse e a fuggire dalle responsabilità di governo. Prima rifiutando il ministero dell'Economia dopo l'uscita di Giulio Tremonti chiesta a gran voce, poi entrando come vicepresidente del Consiglio per uscire di nuovo dal governo alcuni mesi dopo. Un tango politico davvero incomprensibile. Il secondo, invece, è un nuovo arrivato in questo gioco a perdere e si chiama Domenico Siniscalco, economista, giornalista e momentaneamente ministro dell'Economia. La nostra può apparire irriverenza, mentre, invece, altro non è che una difficoltà a comprendere i suoi comportamenti dinanzi alle grandi difficoltà economiche in cui versa il Paese.
C'è un comportamento goliardico come quello di chi invoca l'uscita dall'euro e un ripristino della vecchia lira ma c'è anche un aspetto preoccupante come quello di chi indica nell'Europa una vocazione antitaliana all'origine di tutti i nostri mali. Da sempre nella storia politica, quando non si vuole vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, si urla contro un fantomatico nemico alle porte. Questa volta è il turno dell'Europa che pure ha le sue colpe (eccessivo burocratismo, deficit di democrazia) ma che c'entra davvero molto poco con la nostra crisi economica che, pur avendo origini lontane, meriterebbe una più forte e più rapida iniziativa per uscire dalla palude della bassa crescita e dall'eccessivo disavanzo. E qui interviene il nostro compassato ministro dell'Economia che parla in maniera distaccata come se il fatto non fosse il suo, tanto per intenderci.
Con un lessico appropriato, Siniscalco ci spiega che con una crescita dell'economia reale intorno allo zero i conti pubblici non possono che peggiorare. Insomma poco meno dell'acqua calda. Ciò che Siniscalco dimentica è che dinanzi ad una recessione nel mezzo di un ciclo economico internazionale positivo (il tasso di crescita del commercio mondiale è tra l'8 e il 9 per cento, livelli che non si vedevano da due decenni) il ministro del Tesoro dovrebbe avere qualche idea per invertire la tendenza, indicando misure per il breve periodo ed altre per il medio termine. Alla stessa maniera, quali che siano le opinioni sui criteri contabili adottati dalla Commissione europea, dall'Eurostat e dalla Banca Centrale Europea, dinanzi ad un disavanzo che cresce qualche rimedio si dovrebbe pure trovare. Ed invece nulla di nulla. Il buon Siniscalco si dice contrario a qualunque manovra correttiva e si prepara a redigere quel documento di programmazione finanziaria (Dpef) che da dieci anni a questa parte è la sagra dei numeri al lotto sul terreno dei cosiddetti fondamentali dell'economia (crescita del Pil, rapporto deficit-Pil, esportazione, occupazione e via di questo passo con previsioni permanentemente sbagliate). Si può, naturalmente, essere contro l'adozione di manovre correttive parziali ma allora piuttosto che giocherellare con il Dpef bisognerebbe anticipare la legge finanziaria per avere una manovra che non fosse emergenziale e affrontasse da subito una nuova politica economica per il breve e per il lungo termine.
Quel che ci appare difficilmente accettabile è una sorta di determinismo economico che affida alle inesistenti virtù taumaturgiche del mercato o all'altrettanto inesistente stellone italico la risoluzione dei drammatici problemi che abbiamo di fronte. La stessa vendita del 10 per cento dell'Enel è un errore perché fa perdere allo Stato 200 milioni di dividendi per risparmiarne 120 di interessi. Se poi il ricavato della vendita (4,5 mld) lo si usa non per finanziare lo sviluppo ma per abbattere lo stock del debito pubblico dello 0,35 per cento (un punto di debito è 12,5 mld) si aggiunge errore ad errore, perché non si rilancia la crescita e si peggiora il deficit che produce a sua volta altro debito. L'Italia, dunque, non cresce e i conti pubblici soffrono maledettamente. Se aspettiamo altri sei mesi senza fare nulla o discettando sulla vendita delle strade, ci troveremo ad affrontare le elezioni con una crisi economica ancora più vasta e con una finanza pubblica senza più controllo.
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