Lo sfratto non risparmia il Che: via con gli scatoloni

da Roma

L’hanno arrotolato come una Marilyn, chiuso nel cartone, messo in scatola e addio. Rimangono solo due pezzetti di scotch: qui ha vegliato il comandante Ernesto Che Guevara, simbolo che sparisce, con le bandiere della pace, le foto di Carlo Giuliani, nel trasloco della sinistra radicale che lascia il Senato.
L’avevano appeso a palazzo Madama e anche alla sede di piazza delle Cinque Lune: il Che era il monito, e la nostalgia, di una sinistra che «tante volte in aula votava stringendo i denti», si sfogano gli ultimi ad andarsene tra cartoni accatastati, linee telefoniche scollegate, i computer portati via. I senatori hanno lasciato le stanze da giorni, rimangono solo i dipendenti, quelli che con la sconfitta hanno perso il lavoro. Sono in due al gruppo di Rifondazione, una sola in quello dei Verdi, in tre alla sede del Prc di piazza delle Cinque Lune. Entro sera tutto deve essere pulito.
Le televisioni in queste stanze alle 11 del mattino sono accese sull’immagine dell’emiciclo per l’elezione del presidente del Senato, e loro sono in ufficio a raccattare le ultime cose, a togliere dai muri le cartoline con scritto «Resistenza», a impilare gli arcobaleni. In questi uffici si vive il dramma, lontanissimo dal fervore dell’aula, dell’ultimo giorno, dell’ultima scatola da portar via, dell’ultimo Che. Le stanze verranno assegnate ad altri senatori, di altri gruppi: è fondamentale che le pareti siano sgombre, i cassetti svuotati.
«Noi il nostro Che l’avevamo qui», indica uno spazio vuoto Valeria, dell’ufficio legislativo di Rifondazione a piazza delle Cinque Lune. È dipendente al Senato da vent’anni, verrà riassegnata a un altro partito.

Ma ci sono più di 50 persone «per la strada», racconta la segretaria dei Verdi rimasta a chiudere l’ufficio. «Lavoro al gruppo da 14 anni - racconta - e dunque non rientro nella “sanatoria” fatta per i dipendenti assunti prima del ’93. Ho staccato tutto, sono gli ultimi minuti, mi viene da piangere».

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