Milano - Almeno questa ce la risparmieranno. Dopo gli articoli (e le foto-choc) pubblicate ieri dal Giornale, l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Vittorio Sgarbi ha deciso di ritirare dalla mostra Arte e omosessualità la scultura di papa Ratzinger in tanga e autoreggenti. Anzi, di comprarsela e farne un «uso personale». E l’Ecce trans, la foto di Silvio Sircana che accosta al «cerbiatto» di colore sostituito con un Gesù Cristo? Censurata. Come previsto e prevedibile. Nemmeno l’ipocrisia, come sembrava all’ultimo, di nasconderla in una scatola nera dove i visitatori avrebbero potuto vederla attraverso un buco. Niente. Niente di niente. Col Papa si può scherzare, col portavoce del governo proprio no. E a dirlo non siamo noi, ma gli stessi artisti che rivelano quanto ieri abbiamo anticipato. «Quello che ci stranisce - le parole di ConiglioViola, gli autori del fotomontaggio - è il fatto che un lavoro del genere venga prima approvato e annunciato in mostra da mesi per essere poi, ad arte, eliminato all’ultimo secondo!».
Via le opere scandalose, via anche il divieto ai minori di 18 anni, annunciava Sgarbi. Ma solo per poco. Ieri, infatti, s’è vista una Letizia Moratti furiosa come non mai. Il sindaco ha strigliato il critico-assessore ed esposto i suoi diktat che hanno concesso ben poche repliche. Riconsiderazione di tutte le opere in mostra, eliminazione non solo delle blasfeme, ma anche di quelle con bambini o sospettabili di ispirazione pedofila. Da eliminare le copie del catalogo con le immagini oscene e il logo del Comune. Ipotesi di ritirare il patrocinio. In caso di ulteriori problemi, «chiusura immediata della mostra». «Ci eravamo fidati - spiegano i collaboratori della Moratti - volevamo mandare un segnale di apertura al mondo omosessuale, ma qui si è oltrepassato il limite. Il Comune non può patrocinare e condividere mostre offensive della dignità della persona».
Di certo, al momento, è che Papa Ratzinger non sarà al Palazzo della Ragione. Una decisione tanto di buon senso quanto imprevedibile a giudicare dall’eccitazione che c’era l’altra sera alla vernice. Con gli organizzatori che contavano di cavarsela stringendogli intorno agli occhi una benda nera. «Meglio - esultavano gli ultrà -, così il Papa è anche più sado-maso. Perveeeeeerso». E invece no. Sgarbi, nella più classica delle sue trasformazioni da mister Hyde a dottor Jekyll rinsavisce e a poche ore dall’apertura decide di evitare a Milano lo sfregio. Anche se la traccia rimarrà indelebile nelle copie già in circolazione del (bel) catalogo Electa. Dove, al numero 176 del «Regesto», compare la Miss Kitty (2006) del milanese Paolo Schmidlin. Ottimo scultore con buoni studi e tanto di diploma in Visual design all’Istituto politecnico di design a Milano e in Scenografia all’Accademia di Belle arti di Brera. Noto alle cronache per la regina Elisabetta esposta a Madrid a seno nudo e «palpeggiata». Ma da ieri sicuramente anche per il Benedetto XVI dal petto cadente, la forcina Salon Kitty nel caschetto biondo-platino stile Raffaella Carrà e il perizoma con i fiocchi gialli dei paramenti sacri. Una blasfemìa che ora l’assessore-critico d’arte potrà comodamente ammirare in privato.
«Apprezzando l’artista - spiega al momento di ritirare l’opera - e non volendo censurare nessuno, ho deciso di comprare la statua di Schmidlin. Così ne faccio quello che mi pare, in ufficio o da un’altra parte. La terrò per me e potrò così risarcire il Pontefice del decoro che merita». E, visto che c’è un palcoscenico, Sgarbi ne approfitta subito. E da Satana, si trasforma immediatamente in Papa-boy. «Stimo moltissimo Benedetto XVI che ammiro per come difende le sue idee e perché è stato capace di superare la ridicola forma di populismo della messa in italiano. Finalmente ha reintrodotto il rito in latino e ha messo fine allo stupro architettonico nelle chiese. Dove, per costruire altarini, è stata distrutta gran parte del patrimonio».
Viva lo scultore blasfemo, dunque, ma anche viva Benedetto XVI, «vero sovrintendente d’Italia». E tutti a bocca aperta a chiedersi quale sia il vero Sgarbi. «La modestia artistica della foto di Sircana, invece, mi ha indotto a non esporla perché è più utile alle vignette che all’arte». Difficile da bere.
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