Milano Chissà come si sentirà, lassù nel cielo dei poeti, il buon Giovanni Pascoli: a vedere il suo paese natale trascinato in questo show a base di politica, processi, papponi veri o presunti, capponi, veleni, drag queen e garbate polemiche dove lappello più gentile è «troia». Perché il paese di San Mauro Pascoli - e più esattamente la sua frazione di San Mauro Mare, in provincia di Forlì Cesena - ospita dal mese prossimo levento che segna il ritorno in scena di Lele Mora: mentre a Milano si aprirà ludienza preliminare che lo vede accusato di avere indotto alla prostituzione una trentina di fanciulle, in riviera Mora lancerà il revival degli anni Ottanta. Con la partecipazione del suo amico Platinette e la benedizione della giunta rossa di San Mauro Pascoli, il cui vicesindaco - la graziosa e sorridente Stefania Presti - ieri non appare per nulla imbarazzata dalla sinergia con il presunto piazzista di bellezze.
Si dovrebbe parlare, nella conferenza stampa, del festival di San Mauro. Ma, con buona pace del vicesindaco, Lele Mora fa irruzione sulla scena con tutta la sua voglia di regolare un po di conti: con gli ex amici, con quelli che lo hanno «abbandonato come un lebbroso», con i giornalisti che una volta sedevano alla sua corte e ora lo hanno condannato senza processo, con il mondo. «Non sono uno che serba rancore nè che prova odio», ripete in modo un po troppo insistente. É la sua prima apparizione pubblica dopo l'avviso di garanzia di gennaio. Mora schiuma rabbia e manda messaggi. Anche ai suoi coimputati, in particolare a Emilio Fede, che scagiona dal sospetto di avere fatto la cresta sui soldi prestatigli da Berlusconi, ma attacca («Fede dice delle cose senza senso») per avere cercato di scaricargli addosso la colpa di avere portato Ruby ad Arcore a casa del premier. «É una cosa senza senso perché non importa se Ruby labbia portata io, labbia portata Fede o, come è successo, unaltra persona. L'importante è che Ruby non ha avuto rapporti con il premier, come dice lei stessa». La persona non identificata che avrebbe portato la ragazza marocchina a Villa San Martino in realtà sono due, spiega poi Mora: due imprenditori finora non apparsi nellindagine, e di cui quindi non fa il nome. Ma che intanto possono ritenersi avvisati.
«Io Fede e la Minetti facciamo come i capponi di Renzo, che alla fine finirono tutti in padella», brontola Mora: che delle mosse difensive dei suoi compagni di sventura non sembra troppo convinto. «Non sono un pappone, non sono un magnaccio», ripete. Alle feste di Arcore ci andava perché lo invitava Berlusconi «che è una persona splendida, mi telefonava per invitarmi e io gli dicevo ma guarda, sono qui a casa mia con venti persone e lui rispondeva non cè problema, portale tutte qui». E del lato oscuro delle feste, quello raccontato in intercettazioni e deposizioni, non solo dice di non sapere nulla ma nega decisamente lesistenza, «ad Arcore non è successo niente di quello che dicono i giornali».
«Non odio nessuno», dice. Ma spara a zero su Simona Ventura che lo ha abbandonato dopo lo scandalo Vallettopoli, «bisognerebbe andare a vedere chi è adesso lagente della Ventura e chi è lagente della ragazza che ha vinto lIsola dei famosi», dice lanciando lombra lunga del sospetto sulla regolarità dellultimo reality. «I miei ex autisti adesso fanno gli agenti e stanno rubando un po alla volta quello che ho costruito in trentanni».
É convinto di finire prosciolto, come fu già per il processo Vallettopoli: «Ma i danni chi me li ripaga, il dottor Woodcock?». «Non sono rancoroso ma questa cosa bisogna dirla: ci sono talune che adesso vogliono fare le sante e che dovranno vergognarsi perché sono le più troie». «Ho fiducia nella giustizia perché non ho fatto niente».
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