In ossequio a quella regola della comunicazione secondo la quale è l’assenza totale a esprime il massimo della presenza, in vista delle prossime Regionali Roberto Formigoni ha deciso di rifare il look ai suoi manifesti, scegliendo una gigantografia del proprio volto composta da centinaia di piccoli volti di gente comune e lo slogan «Roberto, uno di noi». Nient’altro. Niente simboli, nessuna immagine e soprattutto niente cognome. Non serve più. Per dare una «notizia», all’epoca di twitter, 140 caratteri sono anche troppi.
La svolta minimalista della campagna di comunicazione del Governatore della Regione Lombardia - che pure a suo tempo si presentò agli Stati generali sull’Expo indossando una sgargiante giacca arancione per «comunicare» che bisognava tornare a stupire - in realtà non è nuova in termini assoluti, né rivoluzionaria. I singoli elementi, separatamente, sono già stati visti e usati altrove. Ma concentrati in 6 metri x 3, in un mix di semplicità e concisione, hanno l’effetto deflagrante della popolarizzazione della politica portata al suo definitivo compimento. La politica-pop.
Dai cartelloni elettorali di ultima «personalizzazione» alla sempre più frequente presenza dei leader di partito sulle copertine dei settimanali di gossip fino all’overdose televisiva di ministri e deputati che spaziano dai talk show ai reality, la politica è sempre più show. Sullo stesso piano mediatico dell’industria culturale e del mercato dell’intrattenimento, sempre più sintonizzata sull’onda delle emozioni e delle «suggestioni» e sempre meno fondata sulla forza delle idee e dei ragionamenti, la politica da tempo è prima di tutto «messaggio». Spettacolo più che progetto. Estetica più che etica. Rappresentazione invece che rappresentanza. E anche i programmi dei partiti, fateci caso, assomigliano ai palinsesti televisivi.
Sembra un secolo fa, ed erano solo gli anni Ottanta, quando l’aspirante consigliere comunale di Gallarate spediva discretamente a casa tua la lettera in cui, iniziando con un «Caro dottore...», spiegava - nel chiederti la preferenza - chi era lui, da dove arrivava, come si era formato, qual era la sua esperienza, quali i suoi progetti e dove voleva arrivare. Dopo sono arrivati Craxi e il craxismo, dando una decisa accelerazione alla personalizzazione della res publica. Poi c’è stata la «discesa in video» di Berlusconi, che ha fatto scuola nel modo di interpretare e di comunicare la politica. E infine, oggi, da destra e da sinistra, le campagne elettorali sono diventate l’apoteosi del protagonismo, dell’individualità, del politico-amico. Il trionfo della semplificazione e della familiarità.
Accantonato il «testo», anche sui cartelloni elettorali assume sempre più rilevanza l’immagine e la frase a effetto: «Uno come te», «Sono qui per te», «Sono uno tra tanti». Basta metterci la faccia e un nome. Nel caso di Formigoni, poi, dopo tre mandati e 15 anni che va e viene dalle case dei lombardi, il Governatore ormai è di famiglia. «Ciao, Roberto!».
Paradossalmente, mentre diventa sempre più complesso e difficile da spiegare anche a se stesso, il mondo politico semplifica i modi con i quali si «comunica» agli elettori. Prima spariscono i simboli storici, che hanno costituito l’identità dei partiti: la falce e martello, lo scudo, il garofano, la fiamma. Poi si marginalizzano i loghi e s’impongono i simboli-neutri che contengono al massimo il nome del candidato. Quindi saltano i riferimenti «visivi» più forti, come nel caso di Renata Polverini che, ex sindacalista candidata per il Popolo della libertà, mette il proprio nome sopra uno sfondo completamente rosso. E infine, spariscono anche i cognomi. Nomina nuda tenemus.
Semplificare, personalizzare, popolarizzare. Dopo l’infotainment, il politainment.
Allargatasi la distanza tra ideologie ed elettori e accorciatasi quella tra «personaggio» e (tele)voto, la politica e la pubblicità finiscono con il sovrapporsi. Le funzioni s’intrecciano, ma la finalità è unica: persuadere. E Roberto che ti dice «Sono uno di voi» sfuma, nell’immaginario visivo, nello spot in cui un testimonial famoso usa lo stesso prodotto che usi tu. Proprio uno come te.
Il linguaggio freddo, distaccato, complesso tipico dei Vecchi Pentapartiti ha ceduto il posto a uno slang «amicale», colloquiale, facile della Seconda Video-repubblica. È morto il politichese. Si è imposto il pop-itichese.
Oggi i criteri dominanti sono la visibilità, la seduzione, la semplicità. Le idee, se non le ideologie, e i programmi, se non il partito, contano sempre meno.
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