(...) «la libertà politica in un cittadino è la tranquillità di spirito proveniente dall'opinione che ciascuno ha della propria sicurezza». E dove non c'è legalità non c'è democrazia, non c'è sicurezza, non c'è libertà. Per questo tornano i prefetti a Milano e Roma nei nuovi concordati che il ministro degli Interni, Giuliano Amato, ha stabilito con i sindaci delle due maggiori città d'Italia. Bari e Firenze seguiranno e via così.
I nuovi poteri danno ai prefetti la capacità di regolare i campi di nomadi e di garantire la loro presenza solo se è compatibile con quella che chiameremmo la convivialità della città. Un modo proprio di esistenza del nostro popolo.
Penso che questo avverrà anche a Genova, perché questa è la città in cui l'illegalità ha avuto moltissimo fascino da sempre. E specialmente a Genova la maggioranza di sinistra ha accettato di convivere con i Centri Sociali che manifestano la loro differenza proprio in atti formali d'illegalismo, compreso il controllo del territorio da essi occupato come esproprio proletario.
Nella tolleranza del Comune, anche nella nostra città, vige la convinzione che l'extracomunitario ha qualche diritto a essere illegale. La sinistra che governa la cultura di questa città è, con molta parte del mondo cattolico, convinta che la questione dell'immigrato si risolva in base al suo diritto ma quella dell'italiano, quella del genovese, sia invece misurata in base ai suoi doveri. L'impresa dello Stato grava sulle spalle dei cittadini genovesi. L'unica parola con cui viene considerato questo rapporto tra cittadino ed immigrato è la parola dell'accoglienza. Perché intervengono i prefetti negli accordi di Roma e di Milano tra il ministero degli Interni e i Comuni? Intervengono perché occorre considerare la compatibilità tra la concentrazione delle residenze e la conservazione del carattere storico della città. La concentrazione di una nazionalità in una sola parte della città, sempre la più povera, crea un contrasto tra l'immigrato che, se pur debole individualmente, è più forte perché agisce come gruppo sociale. E questo all''italiano d'origine non è consentito né appropriato. I singoli proprietari di case eccedono sui costi degli affitti, ma il gruppo sociale dell'immigrato è ormai una garanzia nell'occupazione degli alloggi. Sorge per i prefetti un problema nuovo: quello del controllo degli spazi che spesso vengono affidati a una nazionalità prevalente: come a Genova gli ecuadoregni. Il rischio che si formino città nelle città, una partizione in cui il cittadino italiano si trova costretto a diventare minoranza etnica nella sua zona di residenza. Questo problema della legalità sarà al centro dell'interesse cittadino alla prossima campagna elettorale.
È la prima volta che le qualità etniche dell'immigrato verranno prese in considerazione per evitare la formazione di ghetti alla rovescia, dovuti cioè alla volontà degli immigrati di conservarsi come originari del proprio paese. Il governo deve accettare il fatto che l'ordine pubblico delle città maggiori è oggi carente e che l'unico mezzo, ma non sicuramente efficace, è quello di potenziare le forze di polizia. Evitare i ghetti costruiti per scelta diviene così nelle intese del ministro con i prefetti un nuovo e inatteso approccio alla questione delle immigrazioni.
La campagna elettorale genovese non ha finora preso coscienza del rapporto, ad esempio, tra ecuadoregni e cittadini sulla invivibilità nel ponente e del centro storico. La maggioranza di sinistra che, secondo i sondaggi, dovrebbe vincere le elezioni, ha scelto il modello del grande silenzio. Essi sono convinti che la battaglia elettorale sia stata chiusa dalle primarie dell'Unione e che il resto della cittadinanza debba accettare il fatto già compiuto. Il silenzio serve a stabilire che i problemi come quello dell'ordine pubblico e degli immigrati che non entrano nei parametri della sinistra devono essere quelli ricoperti dal maggior silenzio che grava su una battaglia elettorale, ormai decisa dal compromesso tra le forze che contano.
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