da Milano
«Se potessi mangiare unidea/ avrei fatto la mia rivoluzione», scrivevano negli anni 70 Gaber & Luporini, fissando tassativamente i criteri della loro poetica: protesa alla ricerca duna concretezza che scavalchi le fumisterie intellettualistiche e il massimalismo parolaio. Fa bene a citare quei versi, dunque, Giulio Casale, già voce degli Estra e artefice duna rilettura teatrale di Polli dallevamento, in Se ci fosse un uomo - gli anni affollati del Signor Gaber (Arcana), bel libro sul grande artista scomparso.
Gaber «è lultimo anticonformista integrale, lultimo agguato alle nostre coscienze assopite, ai nostri sogni rattrappiti», e in tal senso Casale ritrae, da artista, un artista capace, come pochi, di cogliere «lalienazione dellindividuo, il senso di noia e dapatia delluomo occidentale inserito», la primazia del mercato e la conseguente eclisse degli ideali, «labisso aperto, dopo il nazifascismo e la bomba atomica, dallobbligo al consumo di massa». Di questa realtà autori come De André o De Gregori daranno una lettura più poetica e perciò più profonda, ma già col «signor G» Gaber e Luporini ne offrirono una sintesi, sul piano fattuale, lucida e prepotente. Non aliena da radicamenti culturali cui Casale rende testimonianza: la passione risentita di Brel, la «dialettica negativa» della Scuola di Francoforte, «il riso tremendo, sardonico» di Céline, e ancora Nietzsche, Pasolini, Borges, Adorno, Roland Barthes, del resto più volte citati da Gaber, su dischi dal vivo e programmi di sala, come ispiratori e modelli.
Se il saggio scritto negli anni Ottanta da Michele Serra resta fondamentale per definire il «metodo» teatrale di Gaber - lalternarsi di canzoni e monologhi, la mimica straordinaria, i nessi tra musica e parola - questo nuovo libro, affidato al ricordo e allanalisi, svela prospettive inattese su una straordinaria vicenda artistica, e ne consente un prezioso ripasso. Ecco dunque smascherata «la speranza di diventare potenti e ricchi di cui i bianchi singozzano» (Céline), il lavoro che «lungi dallessere strumento di emancipazione resta unossessione, innanzitutto uno svuotarsi», la denuncia di «certo vecchiume istituzional-rivoluzionario», e dun «modello di sviluppo che di per sé annienta la singolarità dei soggetti, uccide luomo singolarmente e non».
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