La Signora è malata. Ma è l’unica che non lo sa

Notizie dal fronte: Marchisio si ferma per tre settimane. Altre novità? Alla Juventus non sanno se aspettare Hiddink o Milingo. Non c’è un’anima viva bianconera che sappia che cosa effettivamente stia accadendo alla squadra. Eppure tutti ne parlano, molti ne scrivono, la situazione è grave ma non è seria.
Ad aggiungere sale alle ferite ecco l’ombra dell’Inter che è come un elefante nella cristalleria bianconera, peggio dei campioni d’Italia, feroci e vincenti, non potevano esserci per la Juventus. La squadra sta con Ferrara, avendo capito che non è quello il problema. Sta con un ex collega, in alcuni casi ex compagno di stanza e di campo. Un po’ meno sta con chi è arrivato per ultimo e ha assunto atteggiamenti scontrosi, arroganti, superbi. Qualsiasi riferimento a Felipe Melo è puramente voluto, di certo il brasiliano nulla o poco fa per integrarsi e farsi almeno ben volere dai suoi soci, visto e considerato che non c’è nessun tifoso che scommetterebbe un tappo di gazzosa su di lui. Il caso Melo, insieme con la nebbia che avvolge Diego, spiega in parte il cammino della squadra. Le scelte tattiche di Ferrara e del suo assistente Maddaloni hanno complicato la vita dei difensori.
Per esempio non si è ancora capito perché l’allenatore non abbia abbandonato la formula dello schieramento a quattro puntando su quello a tre. Forse per proteggere Fabio Grosso le cui prestazioni in fase difensiva sono a dir poco disastrose. In tal senso ci si domanda perché il sacrificato, bocciato, emarginato sia stato Molinaro, il quale, almeno, sapeva svolgere il suo compito con risultati superiori al campione del mondo che fu. Poi ci sono Caceres e Zebina che rappresentano due modi differenti di pensare il football: l’uruguagio fa molto fumo, attacca, dribbla, si muove e si dimentica di essere un difensore. Il francese avrebbe, le ha avute, doti atletiche e fisiche per poter vivere di rendita ma la sua presunzione parigina lo ha portato a una «pigrizia» negli allenamenti e a comportamenti capricciosi in campo. Non sono dettagli e diventano importanti e decisivi in una formazione che non può vivere di rendita e di memorie, come l’esperienza di Cannavaro dovrebbe insegnare.
Il fronte della società è immutato ma, improvvisamente, sotto esame. Se ne è accorto, in ritardo, John Elkann. Ha capito forse che è inutile spendere denari in cambio di mezze figure o scelte nostalgiche. Ha capito, anche, che l’impegno assunto nei confronti di Marcello Lippi sta condizionando tutto l’ambiente e ha intossicato i rapporti con i tifosi.
Insomma la Juventus è all’inferno ma finge di essere nel limbo se non in paradiso. Non ha la rabbia che era una delle sue caratteristiche da sempre e che sembra traslocata all’Inter, non ha in panchina e in campo i leader capaci di affrontare anche le sconfitte come si dovrebbe. Non ha, nello spogliatoio, il capo che sia il punto di riferimento vero, autorevole, autoritario.
Detto così sembra il fallimento. In verità è la crisi di un gruppo che pensava di sfruttare l’eredità in eterno. È la crisi di chi governa da soli tre anni e sono nulla in un mare abitato da piranhas e squali.

Non si tratta di alibi e di giustificazioni ma mentre stampa e pubblico si sono accorti di questi errori e di queste difficoltà, il nuovo management ha pensato di andare avanti con gli slogan che nel football durano il tempo di un calcio d’angolo. A San Siro non si decide soltanto la panchina di Ferrara.

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