Silvio e Fini allo scontro finale sulla riforma della magistratura

RomaNo, quei due non si sopportano, non si parlano più, non si vedono da tempo: l’ultimo incontro ravvicinato risale a quella protocollare stretta di mano a Ciampino, quando nella saletta vip aspettavano i corpi dei soldati uccisi in Afghanistan. Ma per litigare non c’è bisogno di stare faccia a faccia, si può fare anche tra Bari e Bruxelles. E così ecco Gianfranco Fini, appena «archiviato» per la casa di Montecarlo, che sbaracca i capisaldi della riforma della giustizia: «Sarebbe grave tornare alla soggezione del pm all’esecutivo, si tornerebbe al fascismo». Quanto al Csm nessun ritocco, «è adeguatamente bilanciato». Ed ecco la replica di Silvio Berlusconi: «La giustizia è un macigno sulla nostra democrazia. Sto preparando un intervento in Parlamento». Una specie di messaggio al Paese.
Macché intesa dunque, ma quale trattativa: lo scontro a distanza tra il Cavaliere e il presidente della Camera dimostra plasticamente che la rottura totale è vicina. Il ping pong comincia in mattinata, quando Fini arriva in Puglia per un convegno sul Csm. Con lui Bari è fredda. Il sindaco Michele Emiliano gli consegna le chiavi della città ma alcuni studenti srotolano uno striscione sopra il municipio. «Cambiamo la serratura», c’è scritto. Il leader di Fli non se ne cura e inizia a martellare la riforma che in calce dovrebbe portare la firma pure del suo partito. «I magistrati - dice - fanno un mestiere difficile e sono esposti più che in passato a giudizi e critiche, talvolta privi di fondamento. Certe soluzioni appaiono rischiose. In un clima già oggi così poco disteso, le interferenze tra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi».
Perciò, insiste, la separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti si può fare, «non sarebbe uno scandalo», però «senza rinunciare all’indipendenza della magistratura». A Fini non piace nemmeno l’idea di cambiare la composizione del Consiglio superiore. «Un eccessivo peso ai non togati esporrebbe l’organo a una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l’imparzialità del giudice». Per lo stesso motivo boccia l’ipotesi di un rafforzamento dei poteri del ministro, che sarebbe «un’altra intromissione del governo». No anche a un aumento dell’autonomia della polizia giudiziaria: «Intaccherebbe la rilevanza della figura del magistrato». Conclusione: il problema principale è «la lentezza dei processi».
Parole pesanti, che suonano di rottura e che rimbalzano anche duemila chilometri più a nord, dove il premier è impegnato nel Consiglio europeo. Ma Berlusconi sostiene di non voler ribattere direttamente a Fini. «No, nessun commento, ne parlerò in Italia. Sto preparando un intervento alle Camere in cui chiarirò la mia posizione». Poi però qualcosa in più, sul messaggio che vuole scrivere, la dice. «La giustizia - afferma - costituisce un macigno sulla vita democratica del nostro Paese. Non ho ancora deciso quando fare questo discorso. Perché? Lo spiego subito. Stiamo trattando con altre forze politiche per una riforma del settore e quindi non voglio anticipare un mio forte intervento rispetto a possibili accordi che potrebbero farci arrivare a una conclusione positiva».
È quasi un ultimatum: se non ci sarà un’intesa, il Cavaliere si rivolgerà al Paese. «Se questo non succederà, allora io pronuncerò un discorso in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia, dirò agli italiani, partendo dal Parlamento, quale secondo me è oggi la situazione della giustizia e della magistratura italiana».
Ma Fini non raccoglie l’avvertimento del premier, anzi tiene il punto. «Sulla giustizia - puntualizza nel pomeriggio da Roma - vale quello che ho detto stamani a Bari. Ho parlato per quaranta minuti... ». In questo quadro a tinte forti, tutte le difficoltà per raggiungere un accordo.

Ma nel Pdl alcuni pontieri ci credono ancora. Ci spera Franco Frattini: «L’accordo non è saltato, i finiani non si sono rimangiati la parola». E Fabrizio Cicchitto: «Nessuno vuole sottomettere i pm all’esecutivo, semmai succede il contrario».

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