Alla fine è probabile che giovedì o venerdì l'atteso faccia a faccia ci sia. Non tanto per la buona volontà dei due commensali quanto perché se il black out tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini dovesse andare avanti non potrebbe che diventare un caso. Che i rapporti tra i due restino però piuttosto freddi non è certo un mistero, tanto che passati quasi quindici giorni dal voto il Cavaliere ha trovato il tempo per decine di riunioni e pure per un vertice ad Arcore con Umberto Bossi ma non ha ancora visto l'ex leader di An. Del loro incontro - annunciato proprio da Fini due giorni fa - ancora ieri nell'agenda del presidente del Consiglio non c'era alcuna traccia.
Certo, la giornata di ieri accentua ancora di più le distanze, visto che proprio mentre il Pd cavalca la polemica con il Quirinale, i finiani decidono di serrare le fila e sparare contro l'ipotesi di semipresidenzialismo alla francese rilanciata dal premier qualche giorno fa a Parigi. E a Berlusconi, che ha passato la domenica ad Arcore, certo non è sfuggito il rinsaldarsi dell'asse tra Colle e presidente della Camera. Se da una parte il Quirinale non smentisce la ricostruzione del fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari secondo cui Giorgio Napolitano avrebbe definito il Cavaliere «un bugiardo» e «una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi», dall'altra i finiani impallinano il sistema francese con turno unico definendolo chi «alla sudamericana» perché «ritagliato su misura sul premier» (Italo Bocchino) e chi «cileno» (Adolfo Urso, segretario di Farefuturo). Un uno-due che a Berlusconi non fa ovviamente piacere in una fase in cui sta cercando di tendere la mano a parte dell'opposizione per affrontare il pacchetto riforme.
Insomma, spiega un ministro molto vicino al Cavaliere, «l'atteggiamento convergente di Napolitano e Fini non lascia ben sperare». Anche perché, a parte la mancata smentita all'articolo di Scalfari, più d'uno nell'entourage del premier è convinto che il fondatore di Repubblica abbia scritto quel pezzo proprio dopo aver parlato con il capo dello Stato. Un'irritazione di cui sin da sabato Berlusconi diceva in privato di non capire la ragione visto che «a Parma non ho fatto altro che ripetere cose dette e ridette decine di volte».
E che la situazione sia molto fluida lo conferma Paolo Bonaiuti che parla di «passaggio complesso». Proprio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, da sempre uno dei «pontieri» del Cavaliere, non nasconde infatti una certa perplessità per la piega che ha preso negli ultimi giorni il dibattito sulle riforme. I dubbi sono per «il fuoco di sbarramento» che arriva dall'opposizione che «sembra cercare un pretesto per non sedersi al tavolo», ma è chiaro che a preoccupare c'è anche il confronto interno al Pdl. Tanto che il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli non esita a dire che «ormai difficilmente esistono ancora i margini» perché Berlusconi e Fini «possano recuperare». Sparare su sistema elettorale a turno unico definendolo sudamericano o cileno e rilanciare il doppio turno (che «fa comodo a chi non vuole un vero bipolarismo»), insomma, segnerebbe in qualche modo il passo.
Anche perché - osserva Napoli - non si capisce perché Fini punti su un sistema elettorale che favorisce il non voto (al secondo turno si presenta il 30% dell'elettorato) e il coalizzarsi di tutto l'universo antiberlusconiano. Una strada su cui non lo seguono neanche i suoi ex colonnelli, tanto che Altero Matteoli non perde occasione per dire che è «in perfetta sintonia con il premier su un sistema semi-presidenziale con turno unico». Se davvero l'incontro ci sarà - non prima di giovedì perché oggi Berlusconi è atteso a Washington per il Nuclear security summit - sarà soprattutto di questo che si discuterà.
Con il Cavaliere che potrebbe offrire al presidente della Camera il ruolo di referente istituzionale delle riforme. Nel merito, però, le decisioni saranno affidate agli organi decisionali del Pdl e al Consiglio dei ministri. Dove i finiani sono decisamente in minoranza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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