Silvio tira dritto: «Gianfranco cerca solo visibilità»

RomaNessuna incertezza, nessun dubbio e neanche un pizzico di nervosismo. Prima al Colle, poi in Consiglio dei ministri e infine durante l’ufficio di presidenza del Pdl, Berlusconi si presenta rilassato e sorridente come nei giorni migliori. Segno, racconta chi il Cavaliere lo conosce bene, che la decisione non solo è stata presa ma pure metabolizzata. Quello di Fini è «un caso chiuso».
Una posizione che il Cavaliere spiega in più d’una conversazione privata, lasciando intendere che «il problema non esiste» e dunque «non c’è alcuna concessione da fare». Anche perché l’ex leader di An, insiste Berlusconi con i suoi, «pone questioni non politiche e non di merito», alcune «francamente incomprensibili». Per usare le parole con cui il premier commenta la vicenda davanti a Napolitano, Fini «cerca una visibilità interna al partito che il suo ruolo istituzionale gli ha tolto» e vive «nell’ossessione della Lega». Piuttosto strano, dunque, che giovedì sera il presidente della Camera abbia alzato il telefono e chiamato Maroni perché si facesse ambasciatore di un incontro tra lui e Bossi. Una richiesta rimandata al mittente perché, è stata la chiosa del Senatùr, «io parlo solo con Berlusconi». Forse non è un caso, dunque, che proprio ieri il leader del Carroccio abbia voluto far sapere che in caso di rottura lo scenario delle elezioni anticipate è il più plausibile.
Poche battute, quelle con il capo dello Stato, nelle quali è difficile non cogliere un pizzico di ironia. Che poi è la stessa che Berlusconi si concede in conferenza stampa quando derubrica la querelle a «piccoli problemi interni a una forza politica» per poi commentare l’incontro con Fini limitandosi a dire che «il menu era molto buono». D’altra parte, insiste Berlusconi in privato, sono state poste delle questioni «surreali» e «niente affatto politiche». Come l’azzeramento dei tre coordinatori del Pdl, dei quattro capigruppo e vice a Camera e Senato e, pare, la richiesta della poltrona di presidente delle Ferrovie dello Stato per un suo uomo. Incomprensibile, insiste il premier, perché la quota 70-30 è stata rispettata e si tratta di nomine recenti. Insomma, se in due anni Fini «ha perso la fiducia dei suoi» non può per questo chiedere di indicare nuovi nomi. «Proprio lui - affonda ancora ironico in privato - che ha così a cuore la democrazia interna...». Il ragionamento di Berlusconi, dunque, è semplice e piuttosto lineare: la palla ce l’ha Fini che «è libero di fare quel che crede», ma «se decide di desistere dall’idea di fare dei gruppi parlamentari autonomi» che sia una decisione definitiva e che «si chiuda definitivamente la fase della discontinuità» di folliniana memoria che va avanti ormai da due anni. Se invece va avanti per la sua strada «è chiaro che si mette fuori dal Pdl».
Concetti su cui torna a sera incontrando i giornalisti al termine dell’ufficio di presidenza del Pdl, una riunione nella quale (coadiuvato anche da Verdini) il Cavaliere fa da mattatore. Chi era presente, infatti, parla di un Berlusconi in ottima forma, a tratti teatrale nel dare la parola a questo e a quel dirigente e molto deciso nelle chiose degli interventi. Più volte, ad esempio, i finiani Bocchino, Urso, Ronchi e Viespoli vengono interrotti con la seguente domanda: «Va tutto bene, ma i gruppi li fate o no?». Poi è proprio il premier a proporre ai presenti di sostituire il documento finale con una sua conferenza stampa: «Parlerò con i giornalisti e, prometto, sarò cauto». Nessuna obiezione, ovviamente. Così, davanti ai cronisti, Berlusconi invita Fini a «superare qualsiasi incomprensione». Una richiesta, dice, che arriva «all’unanimità» e «senza eccezione alcuna» dall’ufficio di presidenza del Pdl e per la quale «mi aspetto una risposta positiva». Certo, se poi il presidente della Camera continuerà nella sua iniziativa di costituire gruppi parlamentari autonomi «è chiaro che si tratterebbe di una scissione dal Pdl». Il governo, aggiunge, «andrebbe avanti lo stesso» anche se la decisione di creare nuovi gruppi sarebbe «francamente incompatibile» con il ruolo di presidente della Camera. Il Cavaliere si dilunga anche sulla Lega, uno dei problemi più volte sollevati da Fini. Perché, dice, quello con il Carroccio «è un rapporto in cui noi crediamo, un’alleanza solida, robusta e stabile». Insomma, «non c’è stato mai un solo argomento in Consiglio dei ministri su cui ci sia stato dissenso tra il Pdl e la Lega».
A Fini, dunque, «non c’erano risposte da dover dare». Ed è questo, secondo il premier, il punto di caduta del braccio di ferro.

Perché, spiega ai cronisti, l’ufficio politico del Pdl «ha stabilito di tenere il prossimo congresso del partito entro un anno, un anno e mezzo da oggi». Come a dire: se Fini ha intenzione di rimettere mano al gruppo dirigente e di contarsi, dimostri in quella sede di avere i numeri per farlo.

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