Problema: c’è un’azienda che funziona e deve aumentare la produzione. Soluzione: chiede di lavorare sette giorni su sette per sfruttare gli impianti al massimo, 4 giorni di lavoro e 2 di riposo, con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo per sabato, domenica e notturni e un «gettone» di 75 euro, per chi lavora tutte le 32 ore previste, più l’impegno alla stabilizzazione dei lavoratori precari. I sindacati sono d’accordo: ma prima di firmare decidono di sottoporre la proposta al voto dei lavoratori. Risultato: 433 votanti, 158 sì e 262 no. Accordo congelato, niente aumento produttivo nè retributivo; col rischio che i committenti si rivolgano altrove.
Sembra un caso di scuola, inventato per mostrare i rischi dell’eccessiva rigidità; invece è storia vera. Succede alla Lascor di Sesto Calende, un’azienda del gruppo Swatch che produce casse e bracciali per orologi. Una realtà solida e ben radicata nel territorio, tanto che la vicenda ha suscitato molto scalpore e un acceso dibattito sui blog, i social network e sui giornali locali. Dove ognuno ha portato le sue ragioni, lasciando inevitabilmente sullo sfondo i torti.
«Non siamo lavativi, ma l’accordo non compensa adeguatamente i sacrifici», si difendono i lavoratori contrari al turno festivo, che peraltro avrebbe riguardato solo una minoranza dei dipendenti. Gli autori dell’accordo - Francesca De Musso, Fiom-Cgil e Giuseppe Marasco, delegato Fim-Cisl - pur comprendendo le perplessità, difendono le condizioni proposte: «L’accordo mirava a salvaguardare l’occupazione e prevedeva la stabilizzazione dei lavoratori precari: si può migliorare, e lavoreremo in questa direzione, ma in un momento di crisi come questo i posti di lavoro sono preziosi e perdere le commesse è un rischio per tutti. Certo, lavorare la domenica è un sacrificio, però c’è già chi lo fa volontariamente, anche in questa azienda».
Come fanno tanti altri lavoratori, del resto, ai quali la possibilità di scegliere non è stata neanche offerta. Che differenza c’è, si chiedono i protagonisti di questa vicenda, tra una mamma che lavora la domenica nella grande distribuzione e una che fa il ciclo continuo in azienda? Una domanda a cui è difficile dare risposta: che infatti non è arrivata.
D’altronde, non la sanno ancora dare neppure gli esperti: perché le nuove forme del lavoro sono in evoluzione continua, e trovare soluzioni valide per tutti sarà probabilmente compito di una generazione intera. Mentre, sempre più spesso, il posto fisso scompare perchè le aziende vivono meno degli individui che ci lavorano. Come è accaduto alla Wagon Lits: negli ultimi 10 anni, secondo i dati di Trenitalia, a fronte di una riduzione continua di passeggeri di due terzi, questo servizio è andato continuamente peggiorando dal punto di vista finanziario, tanto che l’azienda ha deciso di sopprimerlo. É partita così una durissima vertenza con forme di protesta anche eclatanti: da un mese, infatti, alcuni degli 800 lavoratori licenziati presidiano la Torre Faro della Stazione Centrale di Milano, Natale e Capodanno compresi. Chiedono di riavere il loro lavoro, che Trenitalia riattivi il servizio notturno. Intanto, il 30 dicembre scorso Regione, Cisl, Uil, Trenitalia e le aziende Wasleels e Angel Service hanno firmato un accordo per il ricollocamento di 152 lavoratori in Lombardia, nel settore ferroviario e degli appalti.
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