La sinistra difende l’ente in rosso: giù le mani dalla Casa del Cinema

L’istituto creato da Veltroni ha chiuso il 2009 con un buco di 405mila euro. Alemanno vuole destinare il palazzo ad altre funzioni. I radical chic strillano all’abuso

La sinistra difende l’ente in rosso:  
giù le mani dalla Casa del Cinema

Roma - «Mi troverete più qui che altrove: questo è il mio giocattolo», gongolava Walter Veltroni quel 18 settembre 2004, che lo vide inaugurare, insieme ai due Gianni più importanti di Roma, Letta e Borgna (all’epoca, assessore alla Cultura), la Casa del Cinema, a un tiro di schioppo da Via Veneto, la solita strada della solita, sepolta per sempre, Dolce Vita. In perfetto gemellaggio con Mosca, l’unica altra capitale mondiale dotata d’una specifica «DomKino», l’Urbe si regalava un luogo adatto per le «chiacchiere informali» tra cineasti (così il portale della Casa del Cinema), un posticino elitario, dove, tra un cocktail in terrazza, con vista sui pini di Villa Borghese e la presentazione d’un film, Cinelandia usava celebrarsi.

Ora, però, la crisi internazionale morde con rabbia ogni cassa e, trovandola vuota (com’è deserta quella del Campidoglio, dopo decenni di reiterati sperperi, consumati dai «ragazzi di Walter») s’imbestia: non vuole giocattoli per un pugno di cinefili, ma ha fame di fatti, soldi e numeri che funzionano. L’unico dato certo è questo: il prestigioso immobile, già vaccheria quando Roma era un paesone papalino pieno di pecore, poi Oberkommando dei nazisti in tempo di guerra e infine casa di piacere fino agli anni Cinquanta (da lì, il declino), è di proprietà del Comune di Roma. E se il proprietario decide di cambiare destinazione d’uso, com’è nelle intenzioni del sindaco di Roma Gianni Alemanno, magari allargando il campo di attività delle tre sale, finora adibite a sempre più magre rassegne per pensionati e disoccupati e diluite presentazioni di film, ottime per il gettone di presenza di quattro critici, può farlo? Non senza sollevare un vespaio.

Lo si è visto ieri, alla Casa del Cinema, ormai luogo del frusto videogame Cinema contro Governo. Ad agitare le acque, il manager culturale in quota Pd Felice Laudadio, direttore artistico della cinebomboniera, il quale non ci sta a non vedersi rinnovare il contratto e, pertanto, ricorre all’accusa di spoil system nei suoi confronti. «Non vogliamo i soldi del Comune: nel 2011 la Casa del Cinema può gestirsi da sola, governata da un consorzio di associazioni del cinema», attacca. Ma il profondo rosso del 2009, con i 405mila euro persi dalla DomKino capitolina, mentre il mercato languiva? Roba da niente, per il bene pubblico.

Intanto che i vispi over 70 Citto Maselli, Giuliano Montaldo ed Ettore Scola incolpavano la destra d’ignoranza e miopia, l’assessore alle Politiche culturali Umberto Croppi, costretto alle nozze con i fichi secchi, è salito sul banco degli imputati. «È in malafede chi accusa questa amministrazione di spoil system.

Se fosse stato praticato, Laudadio non sarebbe più qui da due anni e mezzo. Invece, da quando ci siamo insediati ci è sembrato giusto intervenire caso per caso. Chi è chiamato a governare ha non solo il diritto, ma il dovere di scegliere». Dargli torto è dura.

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