La sinistra distorce la storia

Ricordo una sera d’estate - il 17 luglio del 2006 - in cui in tanti, ebrei e non ebrei, ci siamo raccolti davanti alla sinagoga di Roma, ci siamo arrampicati su una pedana e abbiamo detto sdegno e tormento per le parole di Ahmadinejad, che aveva lanciato la parola d’ordine "cancellare Israele"...

Ricordo una sera d’estate - il 17 luglio del 2006 - in cui in tanti, ebrei e non ebrei, ci siamo raccolti davanti alla sinagoga di Roma, ci siamo arrampicati su una pedana e abbiamo detto sdegno e tormento per le parole di Ahmadinejad, presidente dell’Iran, che aveva lanciato la parola d’ordine «cancellare Israele». Abbiamo detto sostegno a Israele attaccata dal Libano. \ L’applauso più grande, più lungo, ha salutato Gianfranco Fini. Fini ha fatto molte cose per meritare quell’applauso nella sua vita politica. Ma la sua vita politica è stata iniziata da Giorgio Almirante, segretario della rivista La difesa della razza, appena una generazione fa. Dalla folla alcuni giovani hanno gridato in coro - benché brevemente - «Vinceremo». È stato come un capogiro, una vibrazione triste che per un istante è sembrata salire da quella folla. C’era come un cortocircuito nel tempo e nello spazio. L’abbandono della sinistra stava provocando una caparbia rivalsa. Rivalsa che si manifesta quando gli ebrei di Roma si stringono intorno a Fini. Si manifesta quando - uno a uno - rappresentanti e leader di Berlusconi si susseguono passandosi il microfono per dire che c’è un legame tra Prodi e gli estremisti islamici. E tutto porta ovazioni, come se si stesse discutendo davvero della vita di Israele.
Il dirottamento funziona. Come un treno sullo scambio sbagliato, il convoglio di quella notte - che avrebbe potuto chiamarsi «con la destra per Israele» - correva con qualcuno di noi, la sinistra, aggrappato fuori. Ma la sinistra era altrove - a denunciare Israele e la sua guerra - immaginata come una option crudele.
Chiunque abbia avuto occasione di discutere di Israele in uno dei dibattiti organizzati dalla sinistra italiana, sa di dovere rispondere a tre domande ricorrenti: doveva proprio esserci uno Stato di Israele? Doveva proprio essere lì? È stato il solo nuovo paese nato in terra d’altri? Ricordo ancora uno di quei dibattiti, alla Festa dell’Unità di Pesaro, nell’ottobre 2006. E ricordo gli argomenti che ho usato allora, per tentare di risvegliare una sorta di oblio delle coscienze democratiche. Primo argomento: il racconto del rastrellamento e della deportazione degli ebrei nella notte del 16 ottobre 1943, quando fu una principessa romana - avvertita di quanto stava accadendo - a informare a sua volta la Santa Sede. Avendo accesso in Vaticano, la principessa chiedeva di informare al più presto il papa. Il cardinale Maglione si limitava però a convocare per un colloquio l’ambasciatore tedesco a Roma, Rahn. Alla principessa disse: «Non possiamo avvertire nessuno. Non c’è un consolato degli ebrei a Roma». \ Non c’era uno Stato; sarebbe servito a evitare il ripetersi di quella tragedia.
Per fare capire perché Israele dovesse nascere, e proprio lì, ho usato come molte altre volte un’analogia utile, quella con il Risorgimento italiano. Ricordiamo prima la semplicità dei fatti, che pare rimossa. Gli israeliani hanno preso un piccolo pezzo di Palestina, quando era territorio non di uno Stato palestinese, che non esisteva, ma dell’ex impero ottomano reclamato come proprio dalla Giordania e occupato dalle truppe e dall’amministrazione dell'impero britannico. Lo hanno fatto su mandato delle Nazioni Unite. Nello stesso giorno veniva istituito un piccolo Stato palestinese - altrettanto nuovo e mai esistito prima, appunto - che però tutti gli arabi (non i palestinesi, ma il potere dei grandi paesi arabi petroliferi dell’area) hanno rifiutato, iniziando subito una catena di guerre. Dopo una di quelle guerre per stroncare subito l’invasione egiziana, giordana, siriana e libanese, gli israeliani hanno conquistato e dichiarato israeliana Gerusalemme.
Che cosa c’è di diverso dalle guerre del Risorgimento italiano che - una dopo l’altra - hanno aggregato pezzi di territorio che non erano mai stati «italiani»? Israele ha bensì realizzato un proprio autonomo sogno risorgimentale (detto «sionismo», o ritorno alla terra degli ebrei), ma ha occupato e preso possesso di una piccola parte di quella terra solo dopo un voto e una autorizzazione - bilanciata da autorizzazione equivalente stabilita per gli abitanti della Palestina - delle Nazioni Unite. \
La definizione di «Stato palestinese» è stata proposta per la prima volta dalle Nazioni Unite; e quello è il solo - insieme allo Stato ebraico - che sarebbe nato in quell’area sotto (egida delle Nazioni Unite e per voto dell’Assemblea generale e non come decisione arbitraria degli ex dominatori coloniali (Inghilterra e Francia), come Egitto, Giordania, Siria, Libano, Irak e Kuwait.
È difficile dunque contestare questa risposta alla terza domanda ricorrente («è uno Stato che ha soppiantato un altro Stato?»). Quando è nato lo Stato di Israele non c'era uno Stato palestinese. Uno Stato palestinese è stato proposto per la prima volta contestualmente dalle Nazioni Unite nelle stesse dimensioni e con le stesse risorse di Israele e con la stessa data di nascita. Ma è stato rifiutato dalle potenze arabe dell’area che avevano voci e mezzi per fare la guerra e hanno deciso di farla usando i palestinesi. \
E tutti i dati storici, in ogni incontro, in ogni dibattito, in ogni convegno o manifestazione popolare per la Palestina, appaiono cancellati dai segni molto forti della legittima ma penetrante propaganda palestinese. In essa, come in tutte le storie di rivendicazione, i fatti sono alterati.

\ La sinistra italiana è rimasta ferma, con un irremovibile impegno, che non varia quando inizia la strage delle bombe umane negli autobus israeliani; che definisce «muro della vergogna», o «muro dell’apartheid», il muro che ha posto fine a quelle stragi quotidiane per le strade delle città israeliane. La sinistra italiana non ha mai notato il tempo in cui le madri israeliane dovevano dividere i figli fra un autobus e un altro, sperando che almeno uno dei figli tornasse vivo. \
Furio Colombo

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