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La sinistra europea imita Prodi: più tasse

Spagna e Gran Bretagna annunciano un aumento della pressione fiscale con il solito alibi di far pagare la crisi ai ricchi In Italia per fortuna non ci sono più né il Professore né Visco, altrimenti... E forse ora è il momento per tagliare le imposte

La sinistra europea imita Prodi: più tasse

Il pasto è stato indigesto, ma il conto sarà salatissimo lo stesso e il foglietto con la cifra sta per arrivare su molti tavoli. I governi di sinistra stanno preparando una brutta sorpresa d’autunno ai loro elettori: per tentare di ripianare i deficit originati dalla crisi si ricorrerà alla solita ricetta così cara ai progressisti, vale a dire all’aumento delle tasse. Gli ultimi a gettare la maschera sono stati i socialisti spagnoli. Il governo Zapatero pare infatti aver preso esempio dalle peggiori abitudini del governo Prodi e i suoi membri si esibiscono, in questi giorni, in un valzer di dichiarazioni e smentite che stanno gettando nel panico i contribuenti iberici.
Il ministro allo sviluppo José Blanco, un politico a tutto tondo in quanto vicesegretario del Psoe, ha recentemente affermato che si intendeva varare un aumento delle tasse per tutti i redditi superiori a 50.000 euro, corredando l’affermazione con tutti i luoghi comuni cari alla sinistra, quali ad esempio che i «ricchi» dovevano prepararsi a «fare buchi alla cintura». Ieri la clamorosa retromarcia, con la smentita di qualsiasi incremento dell’Irpf (l’equivalente della nostra Irpef) ma con l’annuncio che si troveranno altre forme di tassazione, spergiurando che le tasse saranno «solo per un breve periodo». Con ogni probabilità quindi l’occhio del fisco spagnolo si sposterà inizialmente sui redditi da capitale e sui risparmi, dopo le solite (e già decise) strette su alcolici e sigarette.
Fa uno strano effetto assistere, per una volta, a queste sciocchezze da spettatori e non da protagonisti, fatto sta che anche gli spagnoli si accorgeranno presto che l’incertezza fiscale e le minacce a vuoto, specialità della sinistra, portano solo danni e nessun beneficio. Vero è che l’economia di Madrid appare con le spalle al muro: venuta meno la droga della bolla immobiliare, il deficit 2009 rischia di schizzare al 12% del Pil, circa il doppio di quanto stimato per l’Italia, con la percentuale del debito pubblico sul prodotto interno che potrebbe impennarsi del 50% passando dal 39% ad oltre il 62%.
In queste condizioni, tuttavia, affidarsi alle tasse è una cosa senza senso: un inasprimento fiscale in recessione non ripianerà nemmeno le virgole del deficit, anzi, ci sono numerose evidenze che, oltre un certo livello di tassazione, ogni incremento delle aliquote comporti non un aumento ma una riduzione del gettito e rischi di deprimere la sperabile ripresa, l’unico vero fattore che potrebbe raddrizzare i conti.
Gli spagnoli tuttavia sono in buona compagnia: anche il governo laburista inglese, che ha dovuto iniettare cifre iperboliche per puntellare le sue imprudenti banche, ha già provveduto da mesi ad annunciare un’impegnativa stretta fiscale. L’aliquota marginale per i contribuenti inglesi verrà spostata dall’aprile 2010 al 50%, condita anche qui dalle immancabili (per noi che siamo avvezzi a questi teatrini) tasse su benzina, alcolici, tabacchi e dai proclami che «si tratta di misure necessarie per aiutare la povera gente». Anche in questo caso i risultati (pessimi) si stanno manifestando: i dati sul gettito fiscale in Gran Bretagna, resi noti settimana scorsa, hanno indicato un calo del 20%, con una forte contrazione registrata proprio nei mesi successivi agli annunci delle strette. Negli Stati Uniti Obama rischia di cadere nella stessa tentazione. Dopo aver spergiurato in campagna elettorale che nessun aumento delle tasse avrebbe colpito le classi medie statunitensi, le dichiarazioni agostane dei suoi luogotenenti economici Geithner e Summers sono apparse molto meno rassicuranti, con frasi che, anche in questo caso, sembrano prese a prestito da un repertorio ben noto ai contribuenti italiani quali: «fiscalmente faremo ciò che occorrerà fare» e «non colpiremo principalmente le classi medie».
Sarebbe tuttavia un errore limitarci al sollievo per lo scampato pericolo, rallegrandoci perché in un tale contesto, se ci fossero stati al governo Prodi e Visco, è probabile che avrebbero dato libero sfogo a tutte le loro fantasie fiscali. Varrebbe invece la pena provare di agire controcorrente e per una volta essere noi ad approfittare degli errori altrui. Se l’Italia provasse ad intraprendere un cammino di defiscalizzazione in contemporanea con le nuove tasse imposte dai nostri vicini, potrebbe essere l’occasione giusta per tentare di attrarre capitali, cosa mai riuscita nel recente passato. Con un minimo di coraggio la riduzione potrebbe includere anche le tasse sulle cedole di titoli di Stato e di debito, magari portandola al 10% dal 12,5% attuale ed estendendola alle diffuse obbligazioni atipiche che sono ora tassate ad un anomalo 27%. In presenza di bassi tassi d’interesse l’esborso sarebbe minimo e più che compensato dalla possibile domiciliazione di capitali esteri. Insomma, dopo anni passati a far fuggire il denaro e ad attirare i clandestini si potrebbe provare a fare il contrario, male non dovrebbe fare.


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