Politica

La sinistra non concede tregua al premier che riarma Pechino

Il Professore: «Non capisco le polemiche». Verdi e Prc: «Non è nel programma, deve chiarire». Capezzone: «Sconcertante»

da Roma

Si stupisce - e mostra non poco disappunto - Romano Prodi per gli effetti della «non notizia» data a Pechino - il sì del suo governo alla revoca dell’embargo per la vendita delle armi alla Cina. «Come mai queste polemiche?» chiede sbarcando a New York. E torna a ripetere, come un disco rotto: «Non c’è nulla di nuovo: è la linea italiana da molti anni e finché non è ridiscussa rimane la linea italiana!». Poi, quasi a chiamarlo testimone a discarico, il Professore evoca Carlo Azeglio Ciampi. La revoca dell’embargo - fa presente - è stata oggetto delle ultime dichiarazioni di viaggio di Ciampi in Cina e dunque vorrei capire su quale elemento si basano le polemiche».
Non ci sta, Prodi, alle contestazioni. Se ne dovrà fare una ragione. Perché da sinistra c’è chi reclama l’ennesimo «chiarimento» interno. Mentre da destra c’è chi annuncia una mozione di censura, fidando che anche chi è oggi in maggioranza - come i Verdi, gli uomini di Bertinotti e i radicali - si espongano sulla China-connection. Non si placa del resto in buona parte della sinistra lo sdegno per le propensioni militariste del Professore. «L’impegno di vendere armi alla Cina non è nel programma dell’Unione e non è mai stato discusso. Per questo motivo è necessario un immediato chiarimento» dice senza peli sulla lingua il presidente dei deputati del Sole che ride, Bonelli. Gli fa eco Nicotra (Rifondazione) che sostiene però che il programma elettorale dell’Unione è chiarissimo e che non c’è nessuna ipotesi di vendere armi. E a chiudere la fila è il leader radicale Capezzone che parla di un Prodi «sconcertante» visto che dopo il volo da Pechino a New York continua a confermare la sua linea, «una linea cedevole nei confronti delle dittature - specifica - visto che nulla si è detto a Putin, si è subita la tenaglia russo-algerina sul gas e ci si prepara a incontrare Ahmadinejad...».
Né si tratta di vespaio di facciata, da parte di chi reclama spazio sui giornali. Che anche i Ds abbiano gradito assai poco la «non novità» prodiana è dimostrato dal titolo, in prima pagina, de l’Unità («Armi alla Cina, la Ue critica Prodi») mentre è evidente l’imbarazzo della Margherita, chiusasi a riccio sul tema.
Il centrodestra allora parte decisamente all’attacco. Nel polverone pechinese ci sono nuovi ed eccellenti motivi per tornare a bastonare un presidente del Consiglio che settembre ha consegnato alle cronache in grande imbarazzo e notevolmente indebolito. Si critica Prodi ma si cercano anche raccordi con qualche esponente della maggioranza, come fa il cordinatore nazionale azzurro Sandro Bondi: «Concordo con le ineccepibili parole di Capezzone sulle sconcertanti sortite di Prodi nel corso del suo viaggio in Cina. La sua richiesta di revocare l’embargo di armi a Pechino è una enormità, un atto gravissimo. Così come è stato gravissimo il suo silenzio sul mancato rispetto dei diritti umani nel Paese asiatico. Spero dunque che nei prossimi giorni sia possibile raggiungere una larga intesa parlamentare sulla linea espressa da Capezzone». È una idea che ha preso a girare in Forza Italia quella di un dibattito parlamentare sul tema. Bisognerà vedere se troverà adesioni. Mentre più difficile che dal centrosinistra giungano firme alla mozione di censura annunciata ieri da An per bocca di Urso. L’ex responsabile del Commercio estero nel governo Berlusconi auspica che «i dissidenti dell’Unione abbiano il coraggio delle loro posizioni e le esprimano liberamente in Parlamento». In caso contrario, avverte, si troveranno «a dover ingoiare il rospo. Anzi, il rospo cinese».

Critica con Prodi persino Amnesty International che in una nota rileva come non solo il riprendere a vendere armi a Pechino rischierebbe di provocare nuove violazioni ai diritti umani in quel Paese, ma che proprio la Cina vende armi nelle zone di conflitto, a cominciare dal Sudan, e potrebbe incrementare questo commercio qualora l’Europa le fornisse nuove e più sofisticate alternative belliche.

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