La chiarezza dei programmi elettorali è uno dei pilastri per il buon funzionamento di una democrazia. Perché sollecita il «voto di interesse», combinato con quello «di valore», che stimola l'elettore a chiedersi quale partito e gruppo di leader possa meglio rappresentare la sua personale visione pratica, contingente, ed ideale, di fondo. In tal senso la chiarezza dei programmi è il fondamento del meccanismo di rappresentanza, il cuore di una democrazia funzionante. Con questo in mente, dobbiamo prendere atto che l'ambiguità evidentemente intenzionale con cui la sinistra comunica la propria linea programmatica rischia di creare una ferita profonda al cuore della democrazia: un nascondimento che potrebbe far votare molti cittadini contro i loro interessi e valori. Il punto: non è questione di polemica tra centrodestra, per altro chiaro nei suoi programmi, e sinistra, ma di sostanza democratica.
Gli indizi di «opacità tattica» della sinistra, il vulnus alla democrazia, sono tanti. Come noto, la coalizione di sinistra tenta di tenere unite tre offerte politiche: a) centrista, non troppo dissimile dall'impianto valoriale del centrodestra, per esempio l'Udeur, e, per la componente «blairiana» della minoranza moderata dei Ds e quella parte non «cattocomunista» della Margherita - per esempio il gruppo dell'Arel fondato dal grande cattolico liberale Beniamino Andreatta ed ora capitanato da Enrico Letta - non tanto distante dal requisito di bilanciamento tra solidarietà e libertà del mercato proposto dai liberali e moderati che preferiscono il centrodestra; b) neocomunista - nel senso di non voler più abolire capitalismo e mercato, ma di piegarli ad una ferrea conduzione statalista, cioè il capitalismo di Stato e consociativo che caratterizza l'ala sinistra della socialdemocrazia europea - perseguita, a diverse gradazioni, dalle correnti di sinistra dei Ds; c) comunisti classici e lirici (neozapatisiti), i primi rappresentati - anche nominalmente - dai Comunisti italiani di Cossutta e Diliberto, i secondi dal più consistente e realmente condizionante Partito per la Rifondazione comunista guidato da Bertinotti.
I secondi, nei loro congressi, dicono esplicitamente di perseguire nel lungo termine l'obiettivo dell'abolizione totale della proprietà privata e di accettare compromessi di coalizione solo in cambio della possibilità di poter praticare qualche passo politico verso questa direzione. Tralascio Verdi, Girotondini e zapateristi perché, in sostanza, assimilabili al comunismo lirico. Mentre possiamo capire perché tutti questi riescono ad unirsi «contro», normale in politica politicata, non è comprensibile come costoro possano stare insieme «per». Infatti ne abbiamo la prova: non c'è una proposta chiara, che sia una, sui temi fondamentali dell'economia, della collocazione internazionale dell'Italia e dei valori su cui basare le leggi che determinano le regole morali della società. Ed è per questo che stiamo sospettando - Belpietro ha incalzato Prodi, in televisione, proprio su questo punto - che a sinistra abbiano un accordo temporaneo di lasciare ambiguo il programma fino all'aprile del 2006 per non frammentarsi prima del voto.
E poi? Probabilmente hanno l'idea vaga di mescolare i punti di loro interesse, da dettagliare e «spartire» dopo. Problema di ingovernabilità a parte, è qui che vedo il rischio di ferita alla democrazia se vincessero. Il cattolico che vota a sinistra potrebbe trovarsi aborto e abolizione della centralità della famiglia. Uno del ceto medio potrebbe trovarsi una tassa feroce sulla casa e sul capitale risparmiato. Uno di sinistra, ma occidentalista, potrebbe trovarsi collocato altrove. Molti, in sintesi, potrebbero trovare sorprese negative non chiarite nel programma di sinistra, lasciato apposta ambiguo.
Certamente un testo lo scriveranno, ma dubitiamo che sarà un programma chiaro di sintesi tra le diversità incompatibili dette sopra.
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