da Roma
Se non è la richiesta di commissariamento di Padoa-Schioppa, poco ci manca. I quattro ministri contrari alla linea del collega dell’Economia tornano alla carica, con l’eccezione di Bianchi; al suo posto, però, parla il suo principale referente politico: Oliviero Diliberto.
E l’aria per il titolare di via Venti Settembre si fa sempre più pesante: è sua, infatti, la prima firma che compare sul Documento di programmazione economica e finanziaria. Documento nel quale lui vorrebbe scrivere che lo scalone previdenziale non si deve toccare; mentre mezzo governo lo vuole eliminare. E fonti della presidenza del Consiglio fanno sapere che si prepara «un Dpef diverso», all’insegna della collegialità («il testo è aperto») e con la cabina di regia a Palazzo Chigi.
Il leader dei Comunisti italiani invita l’esecutivo a rispettare il programma elettorale: un patto con gli elettori che ci hanno votato, dice. «E lì non vi era alcun accenno all’aumento dell’età pensionabile». Diliberto, però, si spinge oltre: «Credo sia chiaro a tutti che il governo deve recuperare consenso e non perderne drammaticamente altro. Ma, forse, qualcuno punta proprio a questo». E sul tema pensioni vuole «stanare» Veltroni. «Sarei curioso di conoscere l’opinione del prossimo segretario del Partito democratico...». Chi, invece, vuole nella sostanza togliere le deleghe a Padoa-Schioppa è Alfonso Pecoraro Scanio, uno dei firmatari della lettera. «Bisogna fare in modo che sia la presidenza del Consiglio a coordinare il Dpef», dice il ministro dell’Ambiente, che chiede una svolta ecologista del documento.
Con un particolare. Con questo governo, il ministero dell’Economia è stato spezzettato. Le deleghe fiscali sono andate a un viceministro «di peso» come Vincenzo Visco; tutta l’area delle politiche per lo Sviluppo, è andata a Bersani; sulle partecipazioni statali il controllo è affidato a Tononi, sottosegretario espressione diretta di Prodi; la politica del credito è finita a un altro viceministro, Roberto Pinza, (Margherita); il Cipe è stato dirottato a Palazzo Chigi, e se ne occupa un sottosegretario alla Presidenza come Fabio Gobbo. Al ministro sono rimaste direttamente le deleghe della politica economica. Il cui profilo viene definito con il Dpef. Se la regia del Dpef finisce a Palazzo Chigi, nella sostanza a Padoa-Schioppa vengono ritirate interamente le deleghe.
Per questo, la richiesta di Pecoraro Scanio è particolarmente grave per il ministro dell’Economia. E che questa sia la strategia dei quattro ministri della sinistra massimalista, viene confermato da Fabio Mussi. Il ministro dell’Università avverte il collega dell’Economia: «Non è possibile votare un documento che non si è letto». Quindi, se il Dpef sarà pronto per giovedì prossimo (per il 28 giugno è in programma un Consiglio dei ministri che dovrebbe approvare il Documento) «chiediamo che il Consiglio slitti di qualche giorno». Insomma, se l’altro Dpef del governo non venne votato solo da Ferrero, quest’anno c’è il rischio che siano in quattro i ministri che potrebbero non approvarlo in Consiglio se non trovano le misure che chiedono.
Le illustra Paolo Ferrero (Prc), ministro della Solidarietà sociale: «Una cosa dev’essere molto chiara. Questo governo deve ridistribuire risorse dall’alto in basso; sulle pensioni deve abolire lo scalone, deve fare più spesa sociale». E le polemiche? «Siamo tutti tranquilli. Si discute fra persone civili e per certi aspetti si fa un braccio di ferro fra persone civili». Ed il braccio di ferro si materializzerà domani. Nel primo pomeriggio è in programma a Palazzo Chigi un vertice fra governo e capigruppi della maggioranza; vertice che sarà preceduto da una riunione dei presidenti dei senatori dell’ala sinistra della maggioranza. E già nel vertice è probabile che si confrontino le diverse anime della coalizione. Ma il confronto vero e proprio ci sarà di lì a qualche ora. A metà pomeriggio è fissato un Consiglio dei ministri che dovrebbe approvare il disegno di legge sul federalismo fiscale.
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