La sinistra si scopre antisovietica

La sinistra si scopre antisovietica

Vittorio Mathieu

Sono stato membro di un soviet, anzi, per due anni vicepresidente. E non di un soviet metaforico: la parola si trovava nei documenti ufficiali e sulla carta da lettera accanto al corrispondente in altre lingue.
In italiano diremmo «consiglio» (consiglio esecutivo dell’Unesco). In russo, com’è noto, la parola entrò in uso nel 1905, per designare gruppi di lotta formati esclusivamente da operai, in particolare tipografi. Questo significato tornò in auge nel 1917, con i soviet «dei soldati e dei contadini», oltre che degli operai, dapprima dominati dai menscevichi, poi dai bolscevichi o «massimalisti». La fortuna del termine è dovuta al desiderio dei rivoluzionari di attribuire un carattere estremamente democratico al regime essendo chiamati i consigli a ispirare l’azione dal basso, mentre il «comitato centrale esecutivo dei soviet» si limitava ad accogliere i suggerimenti. L’unione delle repubbliche socialiste sovietiche non conobbe mai, infatti, la dittatura; com’è noto Stalin era un semplice segretario.
Se ora dobbiamo fare un processo alle intenzioni non c’è dubbio che l’intenzione di Galan, nel parlare del tg regionale della Rai del Veneto come di un soviet fosse prava: screditarne i redattori. Ma se badiamo al termine che ha usato, solo un anticomunista viscerale può sentirsene offeso. È questa la posizione dei giornalisti Rai? Si direbbe di sì, visto che hanno sporto querela. Analoghe considerazioni varrebbero per «fascista». Storace, specialmente dopo la svolta di Fiuggi, può sentirsene offeso; ma se qualcuno avesse dato del fascista ad Achille Starace, ai suoi tempi, ci sarebbe stato motivo di querela?
Quanto all’entità del risarcimento non concordo con Elisabetta Casellati (benché la stimi moltissimo: siamo stati insieme probiviri di Forza Italia) nel giudicarla esagerata. La gravità dell’offesa si misura sulla persona dell’offeso. Teologicamente, per esempio, il peccato originale di superbia era inscusabile perché offendeva Dio stesso. Ora, valutare in 260mila euro la dignità del tg regionale Rai del Veneto non è esagerato. La sola cosa che osservo è che, per sentire come offensiva la qualifica di «sovietico» occorre nutrire un anticomunismo viscerale.
Può darsi che l’episodio induca a rivedere la legislazione sui reati d’opinione. Il vilipendio verbale dovrebbe punire, per ragioni di forma, solo se tocca la bandiera o il presidente della Repubblica. La maleducazione dovrebbe avere altri tipi di sanzione sociale. Ovviamente se c'è stato un danno questo va risarcito; ma Galan fa notare che i redattori della Rai non sono stati danneggiati, anzi, uno è stato promosso. E Gloria Buffo prevede che il nuovo direttore generale disporrà «un immediato indennizzo professionale», essendo le ingiurie ricevute da un governatore di Forza Italia la miglior garanzia di professionalità.
Anche con la legislazione attuale, però, il giudice dovrebbe andare con i piedi di piombo prima di irrogare sanzioni penali. Supponiamo che debba dirimere una curiosa controversia, sorta molti anni fa, perché un senegalese aveva detto a un etiope «sporco negro». «Sporco» poteva considerarsi un'ingiuria, senza diritto alla «prova liberatoria» (art. 596 del c.p.), cioè a verificare se l'etiope fosse sporco davvero.

Ma «negro» era una falsità (negro era, semmai, il senegalese), ed era detto con intenzione offensiva, ma oggettivamente non era un’offesa. Solo chi abbia un pregiudizio razziale può vedere in «negro» un termine offensivo.
La sinistra italiana ha, evidentemente, un pregiudizio antisovietico.

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