Fino a ieri, dopo le tante novità a emissioni zero presentate lo scorso anno e ormai pronte a scendere in strada, il 2011 si presentava per l'industria automobilistica, che inizia i festeggiamenti dei suoi primi 125 anni di vita, come l'anno dell'auto elettrica, quello di una svolta decisa verso una mobilità concretamente sostenibile.
Ma l'anno iniziato da poche ore, dichiarato dall'Onu «Anno Internazionale della Chimica» e subito onorato, come vedremo, si presenta invece con una notizia che, per l'ambiente, va ben oltre la mobilità elettrica.
Ratan Tata, che guida il gruppo con il suo nome, ha infatti annunciato un programma di finanziamento di 15 milioni di dollari per una società che si occuperà di studiare l'auto ad acqua, il sogno proibito di ogni automobilista, la tecnologia della quale, se applicata, non è nemmeno possibile immaginare l'impatto sociale ed economico.
Non è la prima volta che il tycoon indiano, inserito da Forbes al 61° posto nella classifica delle 100 persone più potenti del pianeta ma non fra i più ricchi nonostante amministri un complesso gruppo che spazia dal te alle automobili e impiega oltre 360mila dipendenti, insegue la chimera delle propulsioni rivoluzionarie, come quella dell'«air car» progettata dall'ingegnere francese Guy Negre, l'automobile a aria compressa da sviluppare con tecnologie acquistate da Tata nel 2008, un progetto poi abbandonato per gli enormi costi necessari alla loro applicazione. Sensibile al fascino di tutto ciò che stravolge le regole del business globale (l'esiguo patrimonio che gli è riconosciuto deriva dal fatto che il Gruppo Tata è gestito come una fondazione), a cominciare dalla piccola Nano, l'auto supereconomica destinata ad emancipare milioni di indiani che viaggiano su obsolete motociclette che finalmente sembra aver trovato in India la strada del successo, Ratan Tata si è ora innamorato di una tecnologia progettata da un team di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology guidato dal Professor Daniel Nocera. L'équipe del M.I.T. ha infatti elaborato un particolare processo elettrolitico per la separazione dell'ossigeno e dell'idrogeno che compongono l'acqua che prevede l'uso del secondo come combustibile, qualcosa di simile a quanto già studiato dagli stessi ricercatori americani per lo sfruttamento dell'idrogeno da elettrolisi come fonte d'energia nelle abitazioni. Rivoluzionario, rispetto ai progetti di auto a idrogeno per il momento accantonati dall'industria automobilistica, è il fatto che il combustibile potrebbe essere prodotto a bordo dell'auto, superando così il problema delle reti di distribuzione e lasciando da risolvere soltanto quello del suo stivaggio in totale sicurezza.
La semplicità della ricarica di un'auto elettrica attraverso la presa di corrente, la tecnologia Plug-in che abbiamo appena scoperto e cominciato a conoscere, sarebbe in un batter d'occhio spazzata via dal pieno fatto al rubinetto di casa o alla fontanella dei giardini pubblici. Basteranno i 15 milioni di dollari messi a disposizione degli scienziati da Tata per rendere concreto questo scenario da paese dei balocchi? O la «water car» farà la fine dell'«air car»? Finora tutte le tecnologie prese in esame per consentire di viaggiare sicuri a bordo di una vettura con idrogeno nel serbatoio si sono rivelate antieconomiche, anche su ammiraglie come la Serie 7 e sono quindi, allo stato dell'arte, improponibili per le vetture per il popolo tanto care al magnate indiano che nella sua scuderia annovera però anche i brand di lusso Jaguar e Land Rover acquistati nel 2008 da Ford.
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